Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

sabato 30 marzo 2013

Enzo Jannacci e la «carezza del Nazareno»


Con l'ironia che ne ha contraddistinto cinquant'anni di carriera, Enzo Jannacci se n'è andato misteriosamente proprio il Venerdì Santo. Nel momento della morte di Gesù di Nazareth. Il 6 febbraio 2009, intervistato dal Corriere della Sera, il grande cantautore milanese si soffermò sul caso di Eluana Englaro. A un certo punto, Jannacci non ebbe vergogna ad affermare con forza:
«In questi ultimi anni la figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua fine in croce a rendermi impossibile anche solo l'idea di aiutare qualcuno a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza».
Già, perchè Jannacci - come avrebbe rivelato in un'intervista ad Avvenire il 26 agosto del 2009 - non è mai stato ateo. La sua ricerca religiosa, infatti, era sempre andata avanti negli anni. In Paradiso, molto probabilmente, Jannacci starà ridendo con gusto, proprio perchè quella «carezza del Nazareno» è arrivata. Arrivederci Enzo! 
Questo post è stato pubblicato su Linkiesta il 30 marzo 2013.


I figli di NN, Beppe Grillo e Antonio Polito



Dopo le consultazioni (e il prevedibile "no" a Bersani), Beppe Grillo è tornato ad attaccare la classe politica dal proprio blog. Lo ha fatto con un post intitolato I figli di NN nel quale afferma che le «nuove generazioni sono senza padri», figlie di «vecchi puttanieri che si sono giocati ogni possibile lascito testamentario indebitando gli eredi». L'inizio della Seconda Repubblica aveva illuso molti. Il terrore robespierrano di Tangentoli non è servito. L'Italia - e in ciò ha ragione il comico genovese - è un Paese in cui la totalità del ceto politico ha tessuto e disfatto per l'intera Seconda Repubblica una Tela di Penelope rimasta incompiuta.
Nel suo Contro i papà, anche Antonio Polito denuncia i padri. Ma l'editorialista del Corriere non si limita - come Grillo - a un demagogico e populista «vi manderanno a casa». Anzi, con un'analisi profonda, offre una speranza per il presente e il futuro. Come si evince dalla presentazione del volume tenuta a Milano qualche mese fa:




Beppe Grillo e Antonio Polito. Un problema simile, due soluzioni sensibilmente diverse. Da una parte il "vaffa", dall'altra l'educazione. I figli di NN - che, comunque, sono sempre 'nostri' figli - hanno bisogno di ribellione (ossia un altro '68 da tradire) o di una speranza?
* Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta il 27 marzo 2013.  

L'ennesima giravolta di Terzi: il Ministro si dimette, senza ammettere i propri errori



Il Ministro degli Esteri ha annunciato le proprie dimissioni. Contrariamente a quanto affermato venerdì scorso nell'intervista a RepubblicaGiulio Terzi di Sant'Agata ha compiuto l'ennesima 'giravolta'
«Mi dimetto», ha affermato durante l'audizione alla Camera, «in disaccordo con la decisione di rimandare i marò in India», dal momento che «le riserve da me espresse non hanno prodotto alcun effetto e la decisione è stata un’altra». «Mi dimetto», ha insistito, «perché solidale in modo completo con i nostri marò e con le loro famiglie». «Ho atteso fino a oggi per dimettermi», ha pertanto spiegato, «perché volevo venire qui in Parlamento come sede della sovranità» popolare. Insomma, quella dell'ex Ambasciatore negli Stati Uniti sarebbe una voce 'saggia', ma colpevolmente «inascoltata».   
Assai differenti - e, proprio per tale motivo, interessanti - le dichiarazioni del Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, il quale ha ribadito con forza: «non abbandonerò la nave in difficoltà. Sarebbe facile dimettermi ora, ma non lo farò». Aggiungendo, non senza una vena polemica, che «le valutazioni di Terzi» sulla vicenda dei marò «non sono quelle del governo». 
Purtroppo, le parole diametralmente opposte di Terzi e di Di Paola dimostrano la lungimiranza delle osservazioni che Massimiliano Latorre aveva affidato a una mail indirizzata all'amico Toni Capuozzo. Il fuciliere della marina, infatti, aveva osservato come non era il momento delle divisioni o dello scaricabarile delle responsabilità. Piuttosto, la 'tragedia' che vede coinvolto ancora lui e Salvatore Girone rende urgente e necessaria l'unità delle istituzioni e della classe politica.
Con questa sua ennesima 'giravolta', che sembra avere come obiettivo primario il desiderio di rifarsi una personale verginità diplomatica (ormai, tuttavia, irrimediabilmente perduta), Terzi mette in mostra i suoi contrasti mai sopiti con Mario Monti. E' al governo e non al Ministro degli Esteri - sembra suggerire Terzi, non proprio tra le righe - che va addossata la colpa del rientro dei marò in India. Tentando - con onestà o, forse, con un estremo atto di opportunismo politico - di mettersi dalla parte dei marò, Terzi non ha di fatto ammesso le proprie colpe nella 'dilettantesca' gestione che sin dall'inizio ha accompagnato la vicenda.  
Mentre Massimiliano e Salvatore sono in India a testimoniare con forza l'onore e la dignità  del nostro Paese, Terzi sembra aver perso una buona opportunità per compiere un atto di umiltà e di responsabilità. L'atto delle dimissioni, infatti, era più che dovuto e motivato. Francamente, proprio per rispetto a Latorre e Girone, era auspicabile che in Parlamento non si dovesse assistire all'ennesimo giro di valzer.     


* Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta il 26 marzo 2013. 

Marò: «Tutti insieme nessuno indietro»



La politica è ancora una volta divisa. Divisa su tutto. Le fibrillazioni e il malcontento delle segreterie dei partiti sembrano avere come unico orizzonte quello di una assai difficile formazione del prossimo governo. I 'capibastone' si attaccano l'un l'altro.
Dall'altra parte del mondo, intanto, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono gli unici a rappresentare l'onore e la dignità italiana. Il ceto politico del nostro Paese si rimbalza accuse. E, al tempo stesso, trova alibì. Il nostro 'dilettantesco' Ministro degli Esteri riferirà alle Camere della vergognosa gestione della controversia con l'India. E, in un certo senso, ciò sembra bastare.
Invece, Latorre ha scritto una mail a Toni Capuozzo, conduttore di Terra!:   
Caro Toni non ci serve ora sapere di chi sia stata la colpa, perché non ci porta a nulla e tanto meno non porta a nulla che le forze politiche si rimbalzino le responsabilità. Quel che vi chiediamo ora è non divisione ma, come i nostri fucilieri, mettetevi a braccetto, unite le forze e risolvete questa tragedia. Come dicono i fucilieri: tutti insieme nessuno indietro. Siamo italiani dimostriamolo, come hanno fatto loro
Nell'appello di Latorre - ancora una volta, l'Italia deve imparare - non solo è contenuta la giusta preoccupazione dei due fucilieri per una situazione la cui soluzione appare ancora lontana, ma anche e soprattutto traspare un monito - in piena sintonia con quello di Napolitano - per l'intera politica italiana. Anzi, per l'intero Paese, che speriamo riporti a casa i nostri due ragazzi: «Tutti insieme nessuno indietro»!



* Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta il 25 marzo 2013. 

La politica estera di Papa Francesco


«La politica estera è la faccia che una nazione presenta al mondo». Così, in forma sintetica ed efficace lo storico americano Arthur M. Schlesinger Jr. esprime l’importanza cruciale della proiezione che uno Stato offre di se stesso verso l’esterno. La faccia con cui il Vaticano si è presentato storicamente sulla scena internazionale ha mantenuto sempre una forte continuità, oltre che una predisposizione verso un sano realismo (egualmente distante tanto dal cinismo, quanto dal sentimentalismo).
Ricevendo in udienza il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha avuto la possibilità di sottolineare le linee di politica estera che segneranno il suo pontificato. Per far ciò, è ritornato ancora una volta alle ragioni più profonde che stanno dietro la scelta di prendere il nome del Poverello di Assisi.
La prima ragione è l’amore per i poveri. Seguendo l’esempio di San Francesco, ha osservato il Santo Padre, «la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste». Ma, accanto a questa povertà materiale, Papa Francesco ha tenuto con forza a ribadire – allontanando, ancora una volta, il fantasma di un pauperismo di maniera, che in molti cercano di cucirgli addosso – anche il più sottile problema della povertà spirituale. Quest’ultimo tipo di povertà, infatti, «riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi». «È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI», ha sottolineato Papa Francesco, mostrando la decisa continuità con Joseph Ratzinger, «chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini».


La seconda ragione, strettamente legata al problema dell’autoreferenzialità umana che sorge dalla dittatura del relativismo, è il bisogno di «edificare la pace». Infatti, ha ribadito Papa Bergoglio, «non vi è vera pace senza verità», ossia «non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra». 
Il Santo Padre ha voluto sottolineare come sia necessario superare una tale impasse. E, lo ha fatto, ricordando uno dei titoli – forse, il più famoso e utilizzato – che connotano il Vescovo di Roma: Pontefice. Il termine, infatti, identifica «colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini». Proprio in questa duplice prospettiva di edificazione della pace, il Papa argentino ha richiamato – in sintonia sia con Giovanni Paolo II, sia con Benedetto XVI – il ruolo centrale che rivestono le religioni. Se, infatti, non si possono «costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio», non è neppure possibile «vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri». Papa Francesco ha così tracciato due strade. Da un lato, egli ha espresso la necessità importante di intensificare il dialogo fra le religioni, in particolare con l’Islam. Dall’altro, contemporaneamente, ha riproposto il bisogno di rinvigorire il confronto con i non credenti.
Ma, il riferimento a San Francesco non poteva ignorare un richiamo finale anche a un «profondo rispetto per tutto il creato». L’invito a ‘custodire’ – un verbo molto caro al Papa, come si è visto nella bella e semplice omelia d’inizio pontificato – l’ambiente non mostra una mera e fuorviante dimensione ecologista. Piuttosto, rappresenta nuovamente un richiamo – per dirla con Sant’Agostino – alla pace come Tranquillitas ordinis. Infatti, quando l’ambiente – sottolinea il Santo Padre – non è usato bene, viene sfruttato a danno l’uno dell’altro.
In modo semplice e diretto, Papa Francesco ha tratteggiato il volto che la Santa Sede intende mostrare al mondo. Un volto dialogante, ma fermo sui principi. Un volto sempre nuovo, seppur nella piena continuità con il magistero dei pontefici precedenti. Un volto di speranza verso una famiglia umana che deve vivere nell’età del Leviatano.
* Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta il 23 marzo 2013.




lunedì 18 marzo 2013

Il ‘falso’ San Francesco di Grillo non è quello di Papa Bergoglio




Papa Francesco sembra conquistare immediatamente le persone. Sorridente, umile, informale, familiare, diretto. Ieri, persino Beppe Grillo ha reso omaggio al nuovo Pontefice. Nel suo blog è apparso un post, intitolato "L'importanza di chiamarsi Francesco". «Nessun Papa», osserva il comico genovese, «ha mai avuto il coraggio, perché di vero coraggio si tratta, di chiamarsi Francesco». Citando il libro Il Grillo canta sempre al tramonto, scritto a sei mani con Gianroberto Casaleggio e Dario Fo, egli aggiunge (quasi profeticamente):
Non deve essere un caso che non esista un papa che si sia fatto chiamare Francesco. Noi abbiamo scelto appositamente la data di San Francesco per la creazione del MoVimento. Politica senza soldi. Rispetto degli animali e dell’ambiente. Siamo i pazzi della democrazia, forse molti non ci capiscono proprio per questo e continuano a chiedersi chi c’è dietro.
Habemus Papam, afferma fiero il comico genovese. «Per il momento il suo nome ci rallegra», coclude, «speriamo che ci rallegrino presto anche le sue opere». Ma, diversamente da quello che pensa Grillo, non è un problema di opere (che, certamente, arriveranno). Nella scelta del cardinale Bergoglio, infatti, c'è qualcosa che viene prima. Ed è imprescindibile dalla decisione di portare il nome del Santo di Assisi.
E' stato il Santo Padre ha spiegarlo bene, proprio nei suoi primi interventi pubblici. Ma sono passaggi a cui solitamente - sia la stampa, sia coloro che (esattamente come Grillo) vorrebbero ridurre la Chiesa a un'agenzia umanitaria - non viene dato alcun risalto. Anzi, sono volutamente taciuti.

Questo qualcosa che viene prima è la «pietra angolare» su cui è edificata la Chiesa, ossia Cristo. Nell'omelia, pronunciata a braccio giovedì 14 marzo nella Cappella Sistina, di fronte ai cardinali elettori, Papa Francesco ha affermato con forza: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Sabato, nell'incontro con gli operatori dei media, in Aula Paolo VI, il Pontefice sempre con fermezza ha ribadito:
Un ringraziamento particolarmente sentito va a quanti hanno saputo osservare e presentare questi eventi della storia della Chiesa tenendo conto della prospettiva più giusta in cui devono essere letti, quella della fede. Gli avvenimenti della storia chiedono quasi sempre una lettura complessa, che a volte può anche comprendere la dimensione della fede. Gli eventi ecclesiali non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane, e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad un pubblico vasto e variegato. La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera.
Cristo è il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli uomini: tra di essi uno viene scelto per servire come suo Vicario, Successore dell’Apostolo Pietro, ma Cristo è il centro, non il Successore di Pietro: Cristo. Cristo è il centro. Cristo è il riferimento fondamentale, il cuore della Chiesa. Senza di Lui, Pietro e la Chiesa non esisterebbero né avrebbero ragion d’essere. Come ha ripetuto più volte Benedetto XVI, Cristo è presente e guida la sua Chiesa. In tutto quanto è accaduto il protagonista è, in ultima analisi, lo Spirito Santo. Egli ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa; Egli ha indirizzato nella preghiera e nell’elezione i Cardinali.
«E’ importante, cari amici, tenere in debito conto questo orizzonte interpretativo», ha aggiunto Papa Bergoglio, «per mettere a fuoco il cuore degli eventi di questi giorni». Il Pontefice ha sottolineato tutto questo proprio prima di rivelare le ragioni della scelta del nome Francesco.
Insomma, di fronte a tutti coloro che vorranno ridurre 'sociologicamente' il Santo Padre nel "Papa dei poveri", non possiamo che ricordare che egli è innanzittutto "un testimone di Cristo". L'ex arcivescovo di Buenos Aires ha sempre aiutato - e, ancora di più, aiuterà - i poveri, ma l'ha sempre fatto - esattamente come Madre Teresa - per il proprio "sì" incondizionato a Cristo. E non, come Grillo vorrebbe raccontarci, per un interesse umanitario, ambientalista o animalista. Proprio per questo, il 'falso' e 'disincarnato' San Francesco di Grillo non è quello 'concreto' e 'carnale' di Papa Bergoglio.
Questo post è già comparso su Linkiesta del 17 marzo 2013


venerdì 15 marzo 2013

Bergoglio "fu guardato, e allora vide": l'umile realismo di Papa Francesco



Dopo lo stupore e la commozione, hanno già iniziato a diffondersi varie analisi sociologiche (irrimediabilmente contrastanti) su Papa Francesco. Un po’ com'era successo dopo la rinuncia al ministero petrino da parte di Benedetto XVI. Purtroppo, però, nessuna di tali analisi - esattamente come nel caso di Ratzinger - riesce a cogliere la ragione profonda dell'umile realismo di Papa Francesco. 
Nel 2009, scrivendo la Prefazione a un libro di don Giacomo Tantardini sul pensiero di Sant'Agostino, l'allora cardinal Bergoglio così descriveva - lontano anni luce dalle riduzioni che si sentono in queste ore - la propria fede. «L’immagine per me più suggestiva di come si diventa cristiani», osservava il Vescovo di Buenos Aires, «è il modo in cui Agostino racconta e commenta l’incontro di Gesù con Zaccheo»:
Zaccheo è piccolo, e vuole vedere il Signore che passa, e allora si arrampica sul sicomoro. Racconta Agostino: «Et vidit Dominus ipsum Zacchaeum. Visus est, et vidit / E il Signore guardò proprio Zaccheo. Zaccheo fu guardato, e allora vide». Colpisce, questo triplice vedere: quello di Zaccheo, quello di Gesù e poi ancora quello di Zaccheo, dopo essere stato guardato dal Signore. «Lo avrebbe visto passare anche se Gesù non avesse alzato gli occhi», commenta don Giacomo, «ma non sarebbe stato un incontro. Avrebbe magari soddisfatto quel minimo di curiosità buona per cui era salito sull’albero, ma non sarebbe stato un incontro». 
Qui sta il punto: alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo.
Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo. Se non si dà questo incontro, non siamo salvi. Possiamo fare discorsi sulla salvezza. Inventare sistemi teologici rassicuranti, che trasformano Dio in un notaio e il suo amore gratuito in un atto dovuto a cui Lui sarebbe costretto dalla sua natura. Ma non entriamo mai nel popolo di Dio. Invece, quando guardi il Signore e ti accorgi con gratitudine che Lo guardi perché Lui ti sta guardando, vanno via tutti i pregiudizi intellettuali, quell’elitismo dello spirito che è proprio di intellettuali senza talento ed è eticismo senza bontà.
Un realismo umile, ma inaudito che si scontra con ogni volontà di ridurlo. Il realismo di un testimone che proviene dagli «estremi confini della terra» (At 1,8). 

Questo post è già comparso su Linkiesta il 14 marzo 2013

La «rappresentazione» politica della Chiesa secondo Carl Schmitt



«C’è un sentimento antiromano». Così, nel 1923, Carl Schmitt apriva il suo breve saggio Cattolicesimo romano e forma politica. Le difficoltà della cultura moderna e contemporanea nel rapporto con la Chiesa cattolica erano infatti più che evidenti agli occhi del giurista di Plettenberg. All’inizio del XX secolo, egli coglieva un diffuso e radicale dualismo nella percezione della realtà da parte di un pensiero debole e (ormai) meramente economicista. Dualismo che impediva di comprendere, in tutta la sua portata, la «complexio oppositorum» rappresentata dalla Chiesa. Secondo Schmitt, infatti, dal momento che non ci sono opposizioni che esso «non riesca ad abbracciare», il cattolicesimo «saprà adattarsi ad ogni ordine sociale e politico».
Insieme a questo dualismo, inoltre, egli scorgeva all’opera un uso ridotto della ragione. Il razionalismo e lo scientismo avevano infatti aperto la strada a una mera ragione ‘strumentale’. Razionale, osservava criticamente Schmitt, «significa ormai soltanto un meccanismo di produzione posto al servizio della soddisfazione di qualunque bisogno materiale, senza che ci si interroghi sulla razionalità dello scopo – l’unica cosa importante – a cui quel meccanismo supremamente razionale è disponibile». Utilitaristico e tecnicistico, il pensiero moderno non riusciva pertanto a cogliere la specifica razionalità della Chiesa.


Ma ciò che affascinava Schmitt era soprattutto il carattere eminentemente «politico» del cattolicesimo. Un potere politico che «non si fonda né su mezzi di potenza economica né su mezzi militari», bensì consiste nella «rigorosa attuazione del principio di rappresentazione». La Chiesa, infatti, è «la concreta rappresentazione personale di una personalità concreta». Essa «rappresenta la civitas humana, rappresenta in ogni attimo il rapporto storico con l’incarnazione e con il sacrificio in croce di Cristo, rappresenta Cristo stesso in forma personale, il Dio che si è fatto uomo nella realtà storica». E, proprio nel rappresentare, sta «la sua superiorità su di un’epoca di pensiero economico».
Differente da ogni concezione tecnico-strumentale della politica, che finiva per essere ridotta a un semplice meccanismo di acquisizione e conservazione del potere, l’autore scorgeva così nella Chiesa la piena realizzazione di tutta la tradizione giuridica romanistica. Il conclave, e quel comignolo sulla Cappella Sistina a cui tutto il mondo guarda in queste ore, sono proprio l’evidente segno di quel carattere genuinamente ‘politico’ e ‘rappresentativo’ della Chiesa che Schmitt aveva intuito all’alba del Novecento.
Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta 13 marzo 2013 

Lo tsunami di Grillo reggerà alla reintroduzione delle "preferenze"?




Non sappiamo ciò che succederà nei prossimi giorni. Nè, tantomeno, quale sarà la soluzione politica che verrà individuata per cercare di risolvere lo stallo istituzionale fuoriuscito dalle elezioni. Due cose, però, sembrano certe (o, almeno, molto probabili). Da un lato, l'attuale legge elettorale - il controverso Porcellum - verrà modificata. Dall'altro, le "preferenze" dovrebbero essere reintrodotte. 

Fino ad ora, il successo del movimento guidato dal comico genovese si è sviluppato sulla strenua opposizione alla vecchia classe politica. La forza del "tutti a casa" ha funzionato, proprio perchè il ceto politico viene percepito - a torto o a ragione - come una casta immobile, impenetrabile, immodificabile.
Ma, con la reintroduzione delle "preferenze", la completa inesperienza dei cadidati del M5S potrà reggere di fronte alla concreta esperienza di buoni amministratori o buoni politici di Pd e PdL (ne esistono, negarlo sarebbe soltanto rinfocolare un inutile populismo)? Lo tsunami di Grillo, quell'onda anomala che ha già colpito la politica nelle ultime consultazioni elettorali, riuscirà a resistere? Oppure, si arresterà? 
Questo post è già comparso su Linkiesta il 2 marzo 2013

domenica 3 marzo 2013

Pd-PdL: l'alleanza inevitabile


Forse, in maniera un pò folle, ci credeva davvero. Molto probabilmente, stava solo (abilmente?) dissimulando. Ma Bersani ci ha provato ad aprire a Grillo. Gli è andata male. Com'era ampiamente prevedibile. La forza del movimento del comico genovese è di muoversi come un partito "anti-sistema", anche quando nel sistema istituzionale - comunale, regionale e, infine, nazionale - è ormai entrato.
Il Pd è spiazzato dal deludente risultato elettorale. Bersani è rimasto con il 'cerino' in mano. Grillo continua nella sua lucida - che, tuttavia, dovrebbe far ampiamente riflettere - strategia politica. Berlusconi aspetta sornione - mostrandosi paradossalmente il più vicino agli auspici degli altri Paesi europei - il momento in cui il Segretario del Pd dovrà sedersi con lui intorno a un tavolo per trattare. Una trattativa che deve però rivelarsi seria, finalmente liberata dalla contrapposizione ideologica in cui è stata immersa per tutta la Seconda Repubblica.

Se per entrambe le coalizioni il ritorno alle urne potrebbe rivelarsi assai pericoloso, finendo per premiare ulteriormente il M5S, non rimangono molte alternative. L'unica strada percorribile è quella di un accordo tra Pd e PdL. Una strada rischiosa, perchè, qualora dovesse bruscamente interrompersi nel giro di pochi mesi (o, al massimo, un anno), potrebbe avvantaggiare irrimediabilmente Grillo. Una strada da intraprendere, magari fissando già un limite temporale entro il quale modificare la leggere elettorale e approvare misure urgenti per dare ossigeno a famiglie e imprese. Potrebbe non bastare. Lo tsunami di Grillo potrebbe crescere a dismisura con imprevedibili - forse, terrificanti - conseguenze. Il comico genovese si è sempre detto "in guerra".  Anche il Pd e il PdL, cercando di rispondere in maniera credibile alla diffusa crisi della rappresentanza che attanaglia il nostro Paese, dovrebbero esserlo. Magari, firmando un patto, un'alleanza inevitabile.

Questo commento è già apparso su Linkiesta il 27 febbraio 2013