Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

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sabato 30 marzo 2013

La politica estera di Papa Francesco


«La politica estera è la faccia che una nazione presenta al mondo». Così, in forma sintetica ed efficace lo storico americano Arthur M. Schlesinger Jr. esprime l’importanza cruciale della proiezione che uno Stato offre di se stesso verso l’esterno. La faccia con cui il Vaticano si è presentato storicamente sulla scena internazionale ha mantenuto sempre una forte continuità, oltre che una predisposizione verso un sano realismo (egualmente distante tanto dal cinismo, quanto dal sentimentalismo).
Ricevendo in udienza il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha avuto la possibilità di sottolineare le linee di politica estera che segneranno il suo pontificato. Per far ciò, è ritornato ancora una volta alle ragioni più profonde che stanno dietro la scelta di prendere il nome del Poverello di Assisi.
La prima ragione è l’amore per i poveri. Seguendo l’esempio di San Francesco, ha osservato il Santo Padre, «la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste». Ma, accanto a questa povertà materiale, Papa Francesco ha tenuto con forza a ribadire – allontanando, ancora una volta, il fantasma di un pauperismo di maniera, che in molti cercano di cucirgli addosso – anche il più sottile problema della povertà spirituale. Quest’ultimo tipo di povertà, infatti, «riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi». «È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI», ha sottolineato Papa Francesco, mostrando la decisa continuità con Joseph Ratzinger, «chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini».


La seconda ragione, strettamente legata al problema dell’autoreferenzialità umana che sorge dalla dittatura del relativismo, è il bisogno di «edificare la pace». Infatti, ha ribadito Papa Bergoglio, «non vi è vera pace senza verità», ossia «non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra». 
Il Santo Padre ha voluto sottolineare come sia necessario superare una tale impasse. E, lo ha fatto, ricordando uno dei titoli – forse, il più famoso e utilizzato – che connotano il Vescovo di Roma: Pontefice. Il termine, infatti, identifica «colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini». Proprio in questa duplice prospettiva di edificazione della pace, il Papa argentino ha richiamato – in sintonia sia con Giovanni Paolo II, sia con Benedetto XVI – il ruolo centrale che rivestono le religioni. Se, infatti, non si possono «costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio», non è neppure possibile «vivere legami veri con Dio, ignorando gli altri». Papa Francesco ha così tracciato due strade. Da un lato, egli ha espresso la necessità importante di intensificare il dialogo fra le religioni, in particolare con l’Islam. Dall’altro, contemporaneamente, ha riproposto il bisogno di rinvigorire il confronto con i non credenti.
Ma, il riferimento a San Francesco non poteva ignorare un richiamo finale anche a un «profondo rispetto per tutto il creato». L’invito a ‘custodire’ – un verbo molto caro al Papa, come si è visto nella bella e semplice omelia d’inizio pontificato – l’ambiente non mostra una mera e fuorviante dimensione ecologista. Piuttosto, rappresenta nuovamente un richiamo – per dirla con Sant’Agostino – alla pace come Tranquillitas ordinis. Infatti, quando l’ambiente – sottolinea il Santo Padre – non è usato bene, viene sfruttato a danno l’uno dell’altro.
In modo semplice e diretto, Papa Francesco ha tratteggiato il volto che la Santa Sede intende mostrare al mondo. Un volto dialogante, ma fermo sui principi. Un volto sempre nuovo, seppur nella piena continuità con il magistero dei pontefici precedenti. Un volto di speranza verso una famiglia umana che deve vivere nell’età del Leviatano.
* Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta il 23 marzo 2013.




lunedì 18 marzo 2013

Il ‘falso’ San Francesco di Grillo non è quello di Papa Bergoglio




Papa Francesco sembra conquistare immediatamente le persone. Sorridente, umile, informale, familiare, diretto. Ieri, persino Beppe Grillo ha reso omaggio al nuovo Pontefice. Nel suo blog è apparso un post, intitolato "L'importanza di chiamarsi Francesco". «Nessun Papa», osserva il comico genovese, «ha mai avuto il coraggio, perché di vero coraggio si tratta, di chiamarsi Francesco». Citando il libro Il Grillo canta sempre al tramonto, scritto a sei mani con Gianroberto Casaleggio e Dario Fo, egli aggiunge (quasi profeticamente):
Non deve essere un caso che non esista un papa che si sia fatto chiamare Francesco. Noi abbiamo scelto appositamente la data di San Francesco per la creazione del MoVimento. Politica senza soldi. Rispetto degli animali e dell’ambiente. Siamo i pazzi della democrazia, forse molti non ci capiscono proprio per questo e continuano a chiedersi chi c’è dietro.
Habemus Papam, afferma fiero il comico genovese. «Per il momento il suo nome ci rallegra», coclude, «speriamo che ci rallegrino presto anche le sue opere». Ma, diversamente da quello che pensa Grillo, non è un problema di opere (che, certamente, arriveranno). Nella scelta del cardinale Bergoglio, infatti, c'è qualcosa che viene prima. Ed è imprescindibile dalla decisione di portare il nome del Santo di Assisi.
E' stato il Santo Padre ha spiegarlo bene, proprio nei suoi primi interventi pubblici. Ma sono passaggi a cui solitamente - sia la stampa, sia coloro che (esattamente come Grillo) vorrebbero ridurre la Chiesa a un'agenzia umanitaria - non viene dato alcun risalto. Anzi, sono volutamente taciuti.

Questo qualcosa che viene prima è la «pietra angolare» su cui è edificata la Chiesa, ossia Cristo. Nell'omelia, pronunciata a braccio giovedì 14 marzo nella Cappella Sistina, di fronte ai cardinali elettori, Papa Francesco ha affermato con forza: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Sabato, nell'incontro con gli operatori dei media, in Aula Paolo VI, il Pontefice sempre con fermezza ha ribadito:
Un ringraziamento particolarmente sentito va a quanti hanno saputo osservare e presentare questi eventi della storia della Chiesa tenendo conto della prospettiva più giusta in cui devono essere letti, quella della fede. Gli avvenimenti della storia chiedono quasi sempre una lettura complessa, che a volte può anche comprendere la dimensione della fede. Gli eventi ecclesiali non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane, e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad un pubblico vasto e variegato. La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera.
Cristo è il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli uomini: tra di essi uno viene scelto per servire come suo Vicario, Successore dell’Apostolo Pietro, ma Cristo è il centro, non il Successore di Pietro: Cristo. Cristo è il centro. Cristo è il riferimento fondamentale, il cuore della Chiesa. Senza di Lui, Pietro e la Chiesa non esisterebbero né avrebbero ragion d’essere. Come ha ripetuto più volte Benedetto XVI, Cristo è presente e guida la sua Chiesa. In tutto quanto è accaduto il protagonista è, in ultima analisi, lo Spirito Santo. Egli ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa; Egli ha indirizzato nella preghiera e nell’elezione i Cardinali.
«E’ importante, cari amici, tenere in debito conto questo orizzonte interpretativo», ha aggiunto Papa Bergoglio, «per mettere a fuoco il cuore degli eventi di questi giorni». Il Pontefice ha sottolineato tutto questo proprio prima di rivelare le ragioni della scelta del nome Francesco.
Insomma, di fronte a tutti coloro che vorranno ridurre 'sociologicamente' il Santo Padre nel "Papa dei poveri", non possiamo che ricordare che egli è innanzittutto "un testimone di Cristo". L'ex arcivescovo di Buenos Aires ha sempre aiutato - e, ancora di più, aiuterà - i poveri, ma l'ha sempre fatto - esattamente come Madre Teresa - per il proprio "sì" incondizionato a Cristo. E non, come Grillo vorrebbe raccontarci, per un interesse umanitario, ambientalista o animalista. Proprio per questo, il 'falso' e 'disincarnato' San Francesco di Grillo non è quello 'concreto' e 'carnale' di Papa Bergoglio.
Questo post è già comparso su Linkiesta del 17 marzo 2013