Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

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lunedì 1 dicembre 2014

La stanchezza di Grillo e quella richiesta inevasa di partecipazione. A proposito di un volume di Fabio Chiusi


Questa recensione è già apparsa su Europa il 25 aprile 2014

«Un’idea, un concetto, un’idea», cantava Giorgio Gaber nel 1974, «finché resta un’idea è soltanto un’astrazione», aggiungendo con un tagliente paradosso, «se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione». A quarant’anni di distanza, l’arguta ironia dell’artista milanese ritorna ancora utile e attuale di fronte a una delle idee più promettenti e, al tempo stesso, controverse della politica contemporanea. Con il sorgere dell’era digitale, infatti, non pochi hanno salutato l’avvento della e-democracy come un cambiamento rivoluzionario, in grado di ridare vigore alle asfittiche condizione in cui versano i regimi democratici all’interno del sistema globale.
            Molto spesso, però, i roboanti proclami di improvvisati profeti sul valore palingenetico delle nuove frontiere della partecipazione politica dei cittadini attraverso la tecnologia hanno prodotto risultati di gran lunga inferiori alle aspettative. Ciononostante, non è possibile nascondere come, seppur a fronte di evidenti ingenuità teoriche o carenze pratiche, alcune formazioni politiche, che si richiamano apertamente a tali coordinate ideali, abbiano ottenuto dei risultati formidabili alle elezioni politiche. Ben più che l’esperimento della «democrazia liquida» del Partito Pirata in Germania, è l’incredibile successo del Movimento 5 Stelle nel nostro Paese a costituire un improrogabile oggetto di analisi.



Prima e dopo l’ultimo appuntamento elettorale, numerosi sono stati gli autori che hanno tentato di descrivere il fenomeno dai contorni ancora sfumati e inquietanti della «iperdemocrazia», teorizzata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Con il suo recente Critica della democrazia digitale. Lapolitica 2.0 alla prova dei fatti (Codice edizioni, Torino 2014, pp. 175, 11,90 euro), Fabio Chiusi intende «indagare la valenza pratica e concreta degli esperimenti di democrazia digitale alla luce delle speranze che da decenni continua invariabilmente a suscitare, a prescindere da qualsivoglia rapporto con i fatti e i risultati prodotti». Il giornalista e blogger italiano compie la propria analisi sullo «stato presente della democrazia digitale» con umiltà e scettico realismo, opponendosi all’idea per cui «il digitale sia necessariamente un bene per la democrazia», al di là del contesto politico e del quadro normativo.
Nelle pagine del volume, che prende coscientemente in considerazione soltanto i progetti con ambizione nazionale piuttosto che le singole esperienze locali, l’autore affronta l’argomento da prospettive differenti. E però complementari.
Da un lato, sotto il profilo teorico, poggiandosi sulla riflessione di Hans Kelsen e soprattutto di Norberto Bobbio, Chiusi mostra le tante aporie contenute nelle ingenue tesi degli anarco-tecnologisti e dei populisti digitali. Con le sue «promesse non mantenute» (per dirla con una famosa espressione del filosofo torinese), la democrazia digitale rappresenta nient’altro che una riproposizione dell’antica utopia della democrazia diretta. Un regime politico che, nella sempre difficile miscela fra bisogno di trasparenza e necessità di controllo, finisce assai spesso per assumere le claustrofobiche sembianze delle distopie raccontate da Jeremy Bentham, Aldous Huxley e George Orwell.



Dall’altro lato, sotto il profilo empirico, Chiusi utilizza invece la più recente letteratura accademica per evidenziare le potenzialità ancora da dimostrare e i già evidenti limiti dei vari esperimenti di e-democracy in tutto il mondo. Svizzera, Islanda, Cile, Finlandia, Estonia, Stati Uniti e Italia, sono i tanti Paesi in cui a fronte delle elevate aspettative – generate da progetti di costituzione in crowdsourcing, deliberazione online e voto elettronico – sono stati raggiunti risultati parziali e modesti. Nel rapporto tra tecnologia e politica, come sottolinea giustamente l’autore, eccessive e fuorvianti sono le speranze attribuite alla prima di fronte alla resistente vischiosità della seconda.
            In fondo, osserva Chiusi, le troppe aspettative riposte nella democrazia digitale sono nient’altro che l’evidente segno di una diffusa e più profonda crisi non solo dei partiti, ma anche e soprattutto della rappresentanza politica (a cui, molto probabilmente, è da imputare il vero motivo del successo elettorale del M5S). Gran parte dei cittadini, infatti, più che confidare nella profetica retorica sul ruolo salvifico della rete, esprime una non più rinviabile esigenza di libertà e partecipazione. D’altronde, la «libertà» – cantava ancora Gaber, sempre all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso – «non è uno spazio libero» (come quello rappresentato dalla rete), la «libertà è partecipazione», che tuttavia la democrazia digitale non sembra ancora in grado di garantire.


sabato 30 marzo 2013

I figli di NN, Beppe Grillo e Antonio Polito



Dopo le consultazioni (e il prevedibile "no" a Bersani), Beppe Grillo è tornato ad attaccare la classe politica dal proprio blog. Lo ha fatto con un post intitolato I figli di NN nel quale afferma che le «nuove generazioni sono senza padri», figlie di «vecchi puttanieri che si sono giocati ogni possibile lascito testamentario indebitando gli eredi». L'inizio della Seconda Repubblica aveva illuso molti. Il terrore robespierrano di Tangentoli non è servito. L'Italia - e in ciò ha ragione il comico genovese - è un Paese in cui la totalità del ceto politico ha tessuto e disfatto per l'intera Seconda Repubblica una Tela di Penelope rimasta incompiuta.
Nel suo Contro i papà, anche Antonio Polito denuncia i padri. Ma l'editorialista del Corriere non si limita - come Grillo - a un demagogico e populista «vi manderanno a casa». Anzi, con un'analisi profonda, offre una speranza per il presente e il futuro. Come si evince dalla presentazione del volume tenuta a Milano qualche mese fa:




Beppe Grillo e Antonio Polito. Un problema simile, due soluzioni sensibilmente diverse. Da una parte il "vaffa", dall'altra l'educazione. I figli di NN - che, comunque, sono sempre 'nostri' figli - hanno bisogno di ribellione (ossia un altro '68 da tradire) o di una speranza?
* Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta il 27 marzo 2013.  

lunedì 18 marzo 2013

Il ‘falso’ San Francesco di Grillo non è quello di Papa Bergoglio




Papa Francesco sembra conquistare immediatamente le persone. Sorridente, umile, informale, familiare, diretto. Ieri, persino Beppe Grillo ha reso omaggio al nuovo Pontefice. Nel suo blog è apparso un post, intitolato "L'importanza di chiamarsi Francesco". «Nessun Papa», osserva il comico genovese, «ha mai avuto il coraggio, perché di vero coraggio si tratta, di chiamarsi Francesco». Citando il libro Il Grillo canta sempre al tramonto, scritto a sei mani con Gianroberto Casaleggio e Dario Fo, egli aggiunge (quasi profeticamente):
Non deve essere un caso che non esista un papa che si sia fatto chiamare Francesco. Noi abbiamo scelto appositamente la data di San Francesco per la creazione del MoVimento. Politica senza soldi. Rispetto degli animali e dell’ambiente. Siamo i pazzi della democrazia, forse molti non ci capiscono proprio per questo e continuano a chiedersi chi c’è dietro.
Habemus Papam, afferma fiero il comico genovese. «Per il momento il suo nome ci rallegra», coclude, «speriamo che ci rallegrino presto anche le sue opere». Ma, diversamente da quello che pensa Grillo, non è un problema di opere (che, certamente, arriveranno). Nella scelta del cardinale Bergoglio, infatti, c'è qualcosa che viene prima. Ed è imprescindibile dalla decisione di portare il nome del Santo di Assisi.
E' stato il Santo Padre ha spiegarlo bene, proprio nei suoi primi interventi pubblici. Ma sono passaggi a cui solitamente - sia la stampa, sia coloro che (esattamente come Grillo) vorrebbero ridurre la Chiesa a un'agenzia umanitaria - non viene dato alcun risalto. Anzi, sono volutamente taciuti.

Questo qualcosa che viene prima è la «pietra angolare» su cui è edificata la Chiesa, ossia Cristo. Nell'omelia, pronunciata a braccio giovedì 14 marzo nella Cappella Sistina, di fronte ai cardinali elettori, Papa Francesco ha affermato con forza: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Sabato, nell'incontro con gli operatori dei media, in Aula Paolo VI, il Pontefice sempre con fermezza ha ribadito:
Un ringraziamento particolarmente sentito va a quanti hanno saputo osservare e presentare questi eventi della storia della Chiesa tenendo conto della prospettiva più giusta in cui devono essere letti, quella della fede. Gli avvenimenti della storia chiedono quasi sempre una lettura complessa, che a volte può anche comprendere la dimensione della fede. Gli eventi ecclesiali non sono certamente più complicati di quelli politici o economici! Essi però hanno una caratteristica di fondo particolare: rispondono a una logica che non è principalmente quella delle categorie, per così dire, mondane, e proprio per questo non è facile interpretarli e comunicarli ad un pubblico vasto e variegato. La Chiesa, infatti, pur essendo certamente anche un’istituzione umana, storica, con tutto quello che comporta, non ha una natura politica, ma essenzialmente spirituale: è il Popolo di Dio, il Santo Popolo di Dio, che cammina verso l’incontro con Gesù Cristo. Soltanto ponendosi in questa prospettiva si può rendere pienamente ragione di quanto la Chiesa Cattolica opera.
Cristo è il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli uomini: tra di essi uno viene scelto per servire come suo Vicario, Successore dell’Apostolo Pietro, ma Cristo è il centro, non il Successore di Pietro: Cristo. Cristo è il centro. Cristo è il riferimento fondamentale, il cuore della Chiesa. Senza di Lui, Pietro e la Chiesa non esisterebbero né avrebbero ragion d’essere. Come ha ripetuto più volte Benedetto XVI, Cristo è presente e guida la sua Chiesa. In tutto quanto è accaduto il protagonista è, in ultima analisi, lo Spirito Santo. Egli ha ispirato la decisione di Benedetto XVI per il bene della Chiesa; Egli ha indirizzato nella preghiera e nell’elezione i Cardinali.
«E’ importante, cari amici, tenere in debito conto questo orizzonte interpretativo», ha aggiunto Papa Bergoglio, «per mettere a fuoco il cuore degli eventi di questi giorni». Il Pontefice ha sottolineato tutto questo proprio prima di rivelare le ragioni della scelta del nome Francesco.
Insomma, di fronte a tutti coloro che vorranno ridurre 'sociologicamente' il Santo Padre nel "Papa dei poveri", non possiamo che ricordare che egli è innanzittutto "un testimone di Cristo". L'ex arcivescovo di Buenos Aires ha sempre aiutato - e, ancora di più, aiuterà - i poveri, ma l'ha sempre fatto - esattamente come Madre Teresa - per il proprio "sì" incondizionato a Cristo. E non, come Grillo vorrebbe raccontarci, per un interesse umanitario, ambientalista o animalista. Proprio per questo, il 'falso' e 'disincarnato' San Francesco di Grillo non è quello 'concreto' e 'carnale' di Papa Bergoglio.
Questo post è già comparso su Linkiesta del 17 marzo 2013


venerdì 15 marzo 2013

Lo tsunami di Grillo reggerà alla reintroduzione delle "preferenze"?




Non sappiamo ciò che succederà nei prossimi giorni. Nè, tantomeno, quale sarà la soluzione politica che verrà individuata per cercare di risolvere lo stallo istituzionale fuoriuscito dalle elezioni. Due cose, però, sembrano certe (o, almeno, molto probabili). Da un lato, l'attuale legge elettorale - il controverso Porcellum - verrà modificata. Dall'altro, le "preferenze" dovrebbero essere reintrodotte. 

Fino ad ora, il successo del movimento guidato dal comico genovese si è sviluppato sulla strenua opposizione alla vecchia classe politica. La forza del "tutti a casa" ha funzionato, proprio perchè il ceto politico viene percepito - a torto o a ragione - come una casta immobile, impenetrabile, immodificabile.
Ma, con la reintroduzione delle "preferenze", la completa inesperienza dei cadidati del M5S potrà reggere di fronte alla concreta esperienza di buoni amministratori o buoni politici di Pd e PdL (ne esistono, negarlo sarebbe soltanto rinfocolare un inutile populismo)? Lo tsunami di Grillo, quell'onda anomala che ha già colpito la politica nelle ultime consultazioni elettorali, riuscirà a resistere? Oppure, si arresterà? 
Questo post è già comparso su Linkiesta il 2 marzo 2013

domenica 3 marzo 2013

Pd-PdL: l'alleanza inevitabile


Forse, in maniera un pò folle, ci credeva davvero. Molto probabilmente, stava solo (abilmente?) dissimulando. Ma Bersani ci ha provato ad aprire a Grillo. Gli è andata male. Com'era ampiamente prevedibile. La forza del movimento del comico genovese è di muoversi come un partito "anti-sistema", anche quando nel sistema istituzionale - comunale, regionale e, infine, nazionale - è ormai entrato.
Il Pd è spiazzato dal deludente risultato elettorale. Bersani è rimasto con il 'cerino' in mano. Grillo continua nella sua lucida - che, tuttavia, dovrebbe far ampiamente riflettere - strategia politica. Berlusconi aspetta sornione - mostrandosi paradossalmente il più vicino agli auspici degli altri Paesi europei - il momento in cui il Segretario del Pd dovrà sedersi con lui intorno a un tavolo per trattare. Una trattativa che deve però rivelarsi seria, finalmente liberata dalla contrapposizione ideologica in cui è stata immersa per tutta la Seconda Repubblica.

Se per entrambe le coalizioni il ritorno alle urne potrebbe rivelarsi assai pericoloso, finendo per premiare ulteriormente il M5S, non rimangono molte alternative. L'unica strada percorribile è quella di un accordo tra Pd e PdL. Una strada rischiosa, perchè, qualora dovesse bruscamente interrompersi nel giro di pochi mesi (o, al massimo, un anno), potrebbe avvantaggiare irrimediabilmente Grillo. Una strada da intraprendere, magari fissando già un limite temporale entro il quale modificare la leggere elettorale e approvare misure urgenti per dare ossigeno a famiglie e imprese. Potrebbe non bastare. Lo tsunami di Grillo potrebbe crescere a dismisura con imprevedibili - forse, terrificanti - conseguenze. Il comico genovese si è sempre detto "in guerra".  Anche il Pd e il PdL, cercando di rispondere in maniera credibile alla diffusa crisi della rappresentanza che attanaglia il nostro Paese, dovrebbero esserlo. Magari, firmando un patto, un'alleanza inevitabile.

Questo commento è già apparso su Linkiesta il 27 febbraio 2013



domenica 24 febbraio 2013

Grillo, il trionfo della «contro-democrazia»?





L’Italia sembra ormai inguaribilmente ferita da disaffezione ed estraneità dalla politica (e, soprattutto, dai partiti). Nel nostro Paese, il sistema politico-sociale non solo è in ostaggio di forze interne ed esterne, ma mostra anche chiari sintomi di un’evidente crisi della rappresentanza. Ma quella che è andata in scena ieri in una Piazza San Giovanni stracolma di persone è forse l’ennesima manifestazione dell’antipolitica?
In realtà, la tappa finale dello Tsunami Tour di Beppe Grillo è semplicemente la vittoria di quella che l’intellettuale francese Pierre Rosanvallon definisce «contro-democrazia». Con questo termine egli intende connotare non la critica e l’opposizione radicale alla democrazia, bensì quelle forme di sorveglianza con cui il popolo controlla i detentori del potere. Nella «società della diffidenza», il dato fondamentale non è quello della passività, dell’apatia, o della ‘spoliticizzazione’, ma, al contrario, proprio quello di un avvicinamento del pubblico al livello politico. Secondo Rosanvallon, si diffonde una sorta di «contro-politica fondata sul controllo, l’opposizione, l’umiliazione di quei poteri che non si ha più la voglia di fare oggetto prioritario di conquista». 
La nostra epoca scandisce una stagione di «consumismo politico», in cui le «forti aspettative e grandi esigenze indirizzate alle istituzioni politiche», tendono a «delegittimare i poteri verso i quali esse vengono rivolte». In particolare, sostiene lo storico francese, sono la logica dei cittadini e quella dei governanti (governo e opposizioni) a divergere prepotentemente. Mentre i secondi sono «più motivati dal timore di evitare la critica per aver sviluppato una data politica, che mossi dalla speranza di essere popolari lanciandosi in grandi riforme», i primi «sono più sensibili ai rischi di veder peggiorare la propria situazione che alle possibilità di vederla migliorare». Per tale motivo – aggiunge lapidario Rosanvallon – «la maggiore reattività del pubblico ha comportato in cambio una maggiore modestia dei governanti». La realtà della «contro-democrazia» è un circolo vizioso dal quale è difficile uscire, dal momento che è nutrito sia dai rappresentanti, sia dai rappresentati. Inoltre, la  «contro-democrazia» – come l'esperienza del comico genovese testimonia – rischia anche di trasformarsi molto spesso in «populismo», che Rosanvallon non esita a definire una pericolosa «patologia della politica».



Pubblicata in Francia per la prima volta nel 2008, la riflessione dell’autore fotografa realisticamente le promesse non mantenute delle democrazie, soprattutto quella del nostro Paese. La banalizzazione o l’umiliazione di poteri e istituzioni, considerati ormai inessenziali alla vita o di ostacolo alla società, rimane tuttavia un fenomeno preoccupante. Infatti, l’eventualità che un sistema democratico s’incammini verso la stagnazione o il crollo non può essere considerata così remota. In politica il ‘vuoto’ di potere non esiste, proprio perché viene subito riempito da qualcuno.
Martedì sapremo il risultato delle elezioni. Forse, il Movimento 5 stelle otterrà un ottimo risultato. Molto probabilmente, assisteremo a una riarticolazione (che è, al tempo stesso, una disarticolazione) del sistema partitico. Ma i fantasmi di un trionfo della «contro-democrazia» ci perseguiteranno ancora per lungo tempo. 
Questo articolo è tratto dal mio blog su Linkiesta: "La schiena di Gino"