Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

venerdì 15 marzo 2013

La «rappresentazione» politica della Chiesa secondo Carl Schmitt



«C’è un sentimento antiromano». Così, nel 1923, Carl Schmitt apriva il suo breve saggio Cattolicesimo romano e forma politica. Le difficoltà della cultura moderna e contemporanea nel rapporto con la Chiesa cattolica erano infatti più che evidenti agli occhi del giurista di Plettenberg. All’inizio del XX secolo, egli coglieva un diffuso e radicale dualismo nella percezione della realtà da parte di un pensiero debole e (ormai) meramente economicista. Dualismo che impediva di comprendere, in tutta la sua portata, la «complexio oppositorum» rappresentata dalla Chiesa. Secondo Schmitt, infatti, dal momento che non ci sono opposizioni che esso «non riesca ad abbracciare», il cattolicesimo «saprà adattarsi ad ogni ordine sociale e politico».
Insieme a questo dualismo, inoltre, egli scorgeva all’opera un uso ridotto della ragione. Il razionalismo e lo scientismo avevano infatti aperto la strada a una mera ragione ‘strumentale’. Razionale, osservava criticamente Schmitt, «significa ormai soltanto un meccanismo di produzione posto al servizio della soddisfazione di qualunque bisogno materiale, senza che ci si interroghi sulla razionalità dello scopo – l’unica cosa importante – a cui quel meccanismo supremamente razionale è disponibile». Utilitaristico e tecnicistico, il pensiero moderno non riusciva pertanto a cogliere la specifica razionalità della Chiesa.


Ma ciò che affascinava Schmitt era soprattutto il carattere eminentemente «politico» del cattolicesimo. Un potere politico che «non si fonda né su mezzi di potenza economica né su mezzi militari», bensì consiste nella «rigorosa attuazione del principio di rappresentazione». La Chiesa, infatti, è «la concreta rappresentazione personale di una personalità concreta». Essa «rappresenta la civitas humana, rappresenta in ogni attimo il rapporto storico con l’incarnazione e con il sacrificio in croce di Cristo, rappresenta Cristo stesso in forma personale, il Dio che si è fatto uomo nella realtà storica». E, proprio nel rappresentare, sta «la sua superiorità su di un’epoca di pensiero economico».
Differente da ogni concezione tecnico-strumentale della politica, che finiva per essere ridotta a un semplice meccanismo di acquisizione e conservazione del potere, l’autore scorgeva così nella Chiesa la piena realizzazione di tutta la tradizione giuridica romanistica. Il conclave, e quel comignolo sulla Cappella Sistina a cui tutto il mondo guarda in queste ore, sono proprio l’evidente segno di quel carattere genuinamente ‘politico’ e ‘rappresentativo’ della Chiesa che Schmitt aveva intuito all’alba del Novecento.
Questo post è già stato pubblicato su Linkiesta 13 marzo 2013 

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