Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

venerdì 11 gennaio 2013

Perchè Obama ha scelto Brennan e Hagel




«Il dolore è la debolezza che lascia il corpo», così recita stoicamente uno degli slogan a cui il corpo degli US Marines affida il reclutamento. Forse, anche Barack Obama avrà provato dolore nella raffica di critiche che gli sono state rivolte per le recenti nomine del nuovo team che sarà chiamato a difendere la sicurezza nazionale. Le designazioni di John Brennan a Direttore della Cia e di Chuck Hagel a Segretario alla Difesa hanno suscitato malumori, dubbi e polemiche non solo nel partito democratico, ma anche in quello repubblicano. Al di là del clamore mediatico prodotto dai detrattori, un clamore che riempie le pagine dei giornali in questi giorni, sono scelte solo apparentemente controverse o addirittura maldestre. Con le mani ormai libere dal problema della rielezione, il Presidente sembra aver prediletto Brennan e Hagel per due ragioni fondamentali.


Da una parte, Obama riafferma di nuovo in maniera evidente il proprio convinto sostegno alla strategia dei droni nella guerra al terrorismo (che verrà probabilmente affidata all’Intelligence). L’attuale consigliere per la sicurezza nazionale e l’antiterrorismo è l’uomo dei droni, colui che compila la «kill list» del Presidente. Non per caso, infatti, le principali critiche sono giunte dalla componente liberal dello spettro politico democratico, fortemente critica verso un personaggio ritenuto troppo vicino all’Amministrazione Bush. Quello di Brennan a Langley non sarebbe un esordio, ma un ritorno. A differenza del suo sfortunato predecessore, il generale David H. Petraeus, Brennan si è formato nella Cia, dove fece carriera ai tempi di Bill Clinton e George W. Bush. Seppur quantomeno ambigua sotto il profilo morale (la guerra dei droni infatti è una sorta di applicazione alla realtà delle procedure di Minority Report), l’opaca figura di Brennan costituisce certamente un ottimo profilo professionale per la conduzione dei servizi segreti americani.
Dall’altra parte, il Presidente sostiene la necessità economica di rivedere l’onnivoro budget del Pentagono e la volontà politica di rinsaldare il rapporto – troppo spesso sottoposto a stiramenti e tensioni – tra la classe di governo e le élite militari. In questa prospettiva, la nomina di Hagel sembra offrire elevate garanzie professionali. Eroe del Vietnam ed esponente della scuola realista, l’ex senatore repubblicano è un corpo estraneo dello staff di Obama, anche se si è mostrato più vicino alla sensibilità del Presidente di molti altri suoi collaboratori. Questa volta gli attacchi alla scelta sono arrivati dai repubblicani, in particolare dai circoli intellettuali neoconservatori. Critico verso la guerra in Iraq, ostile a quella che lui stesso ha definito la «lobby ebraica» al Congresso e ritenuto troppo morbido verso l’Iran, Hagel è considerato troppo poco filo-israeliano sulle questioni mediorientali. Tuttavia, risulta (forse) fuorviante – come hanno fatto i suoi detrattori – sottolineare aspetti che riguarderanno prerogative e competenze del Segretario di Stato. Mettendo a capo del Pentagono un ex militare, Obama dimostra invece una sensibilità particolare –presumibilmente, soltanto opportunistica – per il mondo delle forze armate. Nel guidare l’alleggerimento delle spese per la difesa, Hagel potrà certamente dialogare con gli ufficiali dell’esercito da una posizione di indubbia autorità. Avendo esperienza della guerra, egli infatti è consapevole dell’ostilità ai conflitti di coloro che sono chiamati a combatterli.
           

Forse, il dolore per le critiche ricevute era già stato preventivato da Obama. Molto probabilmente, sarà in fretta dimenticato. Il calcolo pragmatico sembra infatti aver preceduto ogni considerazione etica. Nell’operazione di riequilibrio delle correnti all’interno del potere statunitense, l’uomo seduto nello Studio Ovale – che, soprattutto riguardo alla sua posizione sull’utilizzo dei droni, è stato molto probabilmente insignito del Premio Nobel per la Pace con eccessiva celerità e fiducia – avrà realizzato che un tale dolore non era altro che debolezza che abbandonava il corpo della sua Amministrazione.

Questo articolo è già apparso su www.ilsussidiario.net il 9 gennaio 2013

lunedì 7 gennaio 2013

Dentro e fuori la democrazia





«Gli uomini, le donne e i bambini della comunità erano diventati qualcos’altro, dal primo all’ultimo», «ognuno era nostro nemico, compresi quelli che avevano le facce, gli occhi, i gesti e il modo di camminare dei nostri amici e parenti». Così il protagonista di The Body Snatchers descrive la minaccia degli alieni nella cittadina californiana di Santa Mira. Destinato a una repentina trasposizione cinematografica con la regia di Don Siegel, il famoso romanzo di Jack Finney è anche la chiave di lettura scelta da DamianoPalano per aprire il suo ultimo saggio sulla democrazia all’alba di un’era ormai post-americana, La democrazia e il nemico. Saggi per una teoria realistica (Mimesis, Milano 2012, pp. 140, 14 euro).

Le veloci trasformazioni del sistema internazionale e l’eccessiva celebrazione della democrazia contemporanea, spingono l’autore a offrire un «ripensamento delle categorie analitiche forgiate nel corso del Novecento», in particolare «di alcuni cardini della teoria democratica». Il saggio di Palano intende sottrarre la democrazia all’orizzonte post-storico e post-politico (se non, quasi, a-politico) in cui è stata inquadrata dall’immaginario collettivo e da una parte della letteratura scientifica. Una nuova teoria ‘realistica’ della democrazia, cui il volume di Palano vuole offrire un contributo, deve allora perseguire «l’obiettivo di ‘ricollocare nella storia’ la democrazia». E, al tempo stesso, deve riscoprire la figura del «nemico» e il senso dell’«altrove».


Per far ciò, Palano non esita a ricorrere proficuamente sia alla Scienza politica, sia alle Relazioni Internazionali. Il risultato è un’utile fertilizzazione, che dimostra come sia imprescindibile «considerare il ruolo della dimensione internazionale e, più in generale, il rapporto fra interno ed esterno». È, infatti, nel confronto tra la dimensione interna e quella esterna delle sintesi politiche che egli individua l’elemento critico più interessante e problematico per lo studio della democrazia e delle sue trasformazioni.

Nelle pagine di questo agile volume, l’autore non solo rilegge alcuni classici (Carl Schmitt, Joseph Schumpeter, Giuseppe Maranini e Giovanni Sartori), ma si confronta anche con elaborazioni teoriche più recenti (Chantal Mouffe, Ernesto Laclau e Nadia Urbinati). Rifiutando una visione meramente procedurale della democrazia, Palano invita a rinunciare a «una ingenua ‘rimozione’ dei valori», per guadagnare una prospettiva capace di comprendere la loro importanza. L’«ethos» è un elemento imprescindibile per ciascuna democrazia, alla cui base «sta sempre un fondamento politico, che esprime una specifica visione etica». Peraltro, il concetto del ‘politico’ costituisce anche la cinghia di trasmissione della riflessione di Palano. È proprio attraverso di esso, infatti, che l’autore argomenta le sue tesi sulla necessità di riscoprire l’importanza teorica del nemico e dell’altrove per l’elaborazione di una teoria realistica della democrazia. Senza un nemico e un altrove, infatti, il mondo non può che essere orribilmente popolato da terrificanti, inafferrabili e multiformi «alieni». Alieni contro cui l’uomo contemporaneo si trova più o meno disarmato, quando non realmente impotente, dentro e fuori ogni democrazia. 


Questa recensione è apparsa sul sito dell'Istituto di Politica 

mercoledì 2 gennaio 2013

Libri per le feste!



A Natale mi regalano molti libri. Così, ogni anno, torno sempre a casa con una borsa piena di volumi. Sarà per tradizione, sarà per pigrizia. D’altronde, quale regalo migliore per un ricercatore universitario? La risposta potrebbe sembrare banale, ma non lo è. E, poi, anch’io ho l’abitudine (forse, anch’essa un po’ banale) di donare libri agli amici. Dopo aver messo piede in una libreria, infatti, non c’è attività più divertente di mettere insieme le idee e andare alla ricerca di un volume. Non di un volume qualsiasi, ma proprio di quello che è lì ad aspettarti, anche se tu (momentaneamente) non ne conosci ancora titolo e copertina. Non vi è mai capitato? Posso assicurarvi che è davvero un’esperienza interessante. Domandando così perdono ad Andrea Rossetti per l’intrusione, mi permetto qualche suggerimento per le vacanze natalizie.

Non preoccupatevi, non vi segnalerò noiosi testi di politologia. E ciò non solo perché a Natale siamo tutti più buoni, ma anche e soprattutto dal momento che molto spesso in questi anni sotto l’albero mi sono trovato a scartare libri di sport. In particolare, dedicati al calcio.


Il primo consiglio di lettura è per i veri maniaci del calcio. È un saggio impegnativo. Ma, al tempo stesso, assai gradevole. Due estranei al mondo del pallone, come Sergio Salvi e Alessandro Savorelli, dedicano Tutti i colori del calcio (Le Lettere 2008, pp. 226, 19 euro) a un’attenta ricostruzione dell’origine e dell’evoluzione dell’araldica del calcio. I due autori accompagnano il lettore tra aneddoti e curiosità alla scoperta delle radici storiche di maglie da gioco dei club e simboli societari. È inutile sottolineare che tutti coloro i quali desiderano stupire gli interlocutori con dettagli non comuni sul ‘colorito’ universo calcistico possono trovare in questo volume un imprescindibile contributo.

Agli appassionati di storia è consigliata la seconda proposta. Nelle commoventi pagine di Spartak Mosca (Il melangolo 2005, pp. 158, 9 euro), Mario Alessandro Curletto conduce il lettore alla scoperta dell’avventura sportiva e del dramma esistenziale dei quattro fratelli Starostin. Lo sfondo della narrazione è l’URSS di Stalin. I protagonisti sono non solo i campioni dello Spartak Mosca, ma anche gli uomini del potere sovietico come Lavrentij Berija (prima appassionato giocatore di calcio, e, poi, crudele capo dell’NKVD). Insieme ai compagni di squadra, gli Starostin vivono a causa della loro professione di calciatori anche l’esperienza dei gulag. Una trama di storie vere sullo sfondo di uno dei più inumani regimi totalitari del Ventesimo secolo, che non lasciava liberi gli uomini nemmeno nel mondo del calcio. Un libro stupendo.

Per gli amanti della letteratura sarà invece un vero e proprio spasso leggere Anticipi, posticipi (Italic 2011, pp. 188, 14 euro) di Antonio Gurrado e Francesco Savio. Due giovani autori, accomunati dalla comune passione per il calcio. Il primo milanista, il secondo juventino. Il libro raccoglie le loro settimanali scorribande nella Serie A 2010-2011 per la rubrica “Quasi rete”, blog letterario della Gazzetta dello Sport. Gurrado ripercorre con la memoria e un’irresistibile ironia pugliese le giornate del passato, scavando nella memoria personale e nella storia del calcio italiano. Savio traguarda il futuro insieme a uno scrittore sempre diverso e a uno humour più inglese (ma di matrice fieramente bresciana). È un volume strano, ma assolutamente da avere nella propria libreria, che va assaporato giornata dopo giornata. Esattamente come le domeniche del campionato di calcio. Proprio perché ogni domenica è una storia a sé. 


Infine, non poteva mancare il capolavoro – la cui prima edizione è del 1995 – di uno dei più grandi e rimpianti giornalisti italiani. Il più mancino dei tiri (Il Mulino 2006, pp. 125, 9 euro) di Edmondo Berselli è semplicemente geniale. È un libro che parla (anche, ma non solo) di calcio. Potrebbe essere quasi un trattato di filosofia politica, seppur venato di un’ironia pungente e incontenibile. Infatti, è un libro «serissimo» (come l’ha sempre considerato, pur non comparendo nei ringraziamenti, il mio maestro accademico, che me ne ha suggerito la lettura qualche anno fa). Dal “piede sinistro di Dio”, il leggendario Mariolino Corso (colui che ha inventato la “maledetta” di Andrea Pirlo prima di Pirlo, infatti l’avevano denominata punizione a “foglia morta”), si parte per uno spassoso viaggio nella storia italiana. Tra politica, società e sport non si può non aver letto il volume uscito dalla tagliente penna dell’autore emiliano.

Non c’è nient’altro da aggiungere. Buona lettura! 



Questo articolo è già stata pubblicata su www.contropiede.net il 28 dicembre 2012.