Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

venerdì 27 aprile 2012

WARning. Un nuovo strumento per conoscere il mondo






Esce in questi giorni «WARning. Rivista semestrale di studi internazionali». 

La rivista intende promuovere la crescita di una nuova e più accentuata sensibilità per le tematiche internazionalistiche, moltiplicando le occasioni di riflessione e di confronto sui fenomeni che, superando i confini dello stato, formano la trama di quell’immenso campo problematico che è la vita internazionale. Le aree d’interesse della rivista spaziano dalla teoria delle relazioni internazionali alla geopolitica, dai Global Studies agli studi europei, dall’analisi della politica estera all’International Political Economy, dalle ricerche sulla pace agli studi strategici e di sicurezza. Tuttavia, come si evince fin dalla scelta della testata, una speciale attenzione viene dedicata al tema della guerra, nelle sue molteplici declinazioni. La rivista si articola (flessibilmente) in cinque sezioni: la prima (Focus) contiene più saggi riconducibili a uno stesso tema, di ampio respiro e identificato da un titolo generale; la seconda (Saggi e ricerche) ospita contributi su vari argomenti, che possono approfondire tematiche consolidate, riproporne di trascurate, o suggerirne di nuove, fornendo magari lo spunto per successive tematizzazioni; la terza (Interventi e dibattiti) accoglie interventi brevi e dibattiti a più voci su fatti e problemi dell’attualità politica internazionale; la quarta (Sconfinamenti), diversa dalle precedenti per stile e contenuti, tratta di cinema, arte, letteratura, viaggi e altro ancora, ovviamente sempre in rapporto al tema principale della rivista: la guerra; infine, chiude ogni fascicolo un’ampia sezione dedicata alle recensioni. Della riuscita di questa impresa editoriale, che ha il sapore di un’autentica scommessa culturale, siano giudici i lettori, alla cui benevolenza ci appelliamo affinché sostengano la rivista, abbonandosi e contribuendo alla sua diffusione...

Vai al sito di WARning

martedì 24 aprile 2012

Analisi per CQ140







«Ora andrò lontano su al Nord, a giocare al Grande Gioco». Così nel suo celebre romanzo d’avventura Kim del 1901, Rudyard Kipling introduce il fascinoso mondo delle operazioni militari e d’intelligence che impegnarono inglesi e russi, per buona parte dell’Ottocento, in Afghanistan, in Iran e nelle steppe dell’Asia centrale. Con l’operazione Enduring Freedom del 2001 e la successiva missione ISAF, il «Grande gioco» ha ripreso, seppur con attori diversi, nuovo vigore. E anche in futuro è destinato non solo a calamitare l’attenzione del sistema internazionale, ma anche a influenzare gli equilibri geopolitici regionali. (continua a leggere).



lunedì 23 aprile 2012

La visione dell’interesse lontano: le minacce dell’11 settembre 2021




11 SETTEMBRE 2021/ Quali saranno le minacce del prossimo decennio?



Nel 1941, durante uno dei momenti più cupi della storia inglese ed europea, Winston Churchill ebbe a sostenere che, una volta entrato consapevolmente in guerra, lo statista «non è più padrone della politica, ma schiavo di eventi imprevedibili e incontrollabili». Purtuttavia, il saggio e realistico riconoscimento di non disporre del proprio destino non spinse l’allora Primo Ministro britannico a tirare i remi in barca. Egli, infatti, non solo fu uno degli artefici della vittoria nella Seconda guerra mondiale, ma seppe anche e soprattutto ‘immaginare’ (insieme a Roosvelt e Stalin) il futuro del sistema internazionale. Anche se non fu ironicamente in grado di ‘prevedere’ la propria sconfitta a vantaggio del laburista Attlee nelle elezioni politiche del 1945, Churchill rimane uno degli uomini politici maggiormente dotati di lungimiranza.
            La lungimiranza – ossia la capacità di guardare lontano nel tempo – è sempre stata una delle attitudini più importanti per qualsiasi politico. Possedere o non possedere un tale dono, infatti, ha spesso fatto la differenza nella carriera di chi è stato (ed è tuttora) chiamato a servire il popolo. Al tempo stesso, la lungimiranza è (e deve continuare a essere) un attributo proprio anche della classe degli aiutanti del potere politico: vale a dire, di quella più o meno nutrita schiera di studiosi che, scrutando la realtà presente, cercano di prospettare quella futura al fine di aiutare la politica ad orientare i fenomeni al miglior esito possibile.
«Vedere» i fenomeni politici – ha osservato Sheldon S. Wolin nella sua celebre opera Politics and Vision – non significa soltanto descrivere un evento o un oggetto. La «visione», infatti, richiede sempre anche un’essenziale componente di «immaginazione». E l’immaginazione necessariamente contiene in sé la convinta speranza nel domani, insieme con la proiezione di quale potrà essere nel futuro l’ordine di una comunità o di un sistema globale.
Un tentativo, tanto difficile quanto affascinante, in questa direzione ci è ora offerto dal volume curato da Gianluca Ansalone e Angelo Zappalà (11 settembre 2021. Le minacce del prossimo decennio, FrancoAngeli, Milano 2012). Con una buona varietà di registri stilistici, un più che adeguato ricorso ai dati e un costante riferimento alla letteratura scientifica, questo agile libro cerca – come osserva giustamente Edward Luttwak nella sua Prefazione – di «immaginare il futuro in modo fresco ed originale». Non si tratta, conta sottolinearlo fin da subito, di uno di quegli esercizi di stile in cui qualche futurologo cerca di predire gli avvenimenti. Un tentativo, di per sé, che non può che risultare inutile. Piuttosto, il volume è un tentativo – per usare le parole di Ansalone – di «recuperare il senso della visione e della profondità strategica». Un tentativo aggiungiamo ben riuscito.
L’inizio del XXI secolo è stato segnato da grandi cambiamenti e dal sorgere di numerose minacce. Assai spesso, gli uni e le altre si sono caratterizzati per il fatto di non provenire da – o di non essere completamente esauribili in – attori statuali. Sono pericoli asimmetrici o transnazionali, che spingono a rivedere alcuni degli assunti più consolidati dei paradigmi delle Relazioni Internazionali. In 11 settembre 2021, esperti, analisti e accademici ci aiutano a considerarli e a giudicarli. Lo spettro degli scenari è ampio e ricco: dai conflitti all’ambiente, dalle nuove tecnologie ai luoghi. Viene così immaginato non solo il ‘futuro’ delle guerre (Vincenzo Camporini), del jihad (Ansalone e Zappalà), delle tecnologie militari (Andrea Nativi), del crimine organizzato (Alessandro Politi) e del terrorismo (Francesco Marelli), ma anche quello dell’energia (Stefano Casertano) e del clima (Salvatore Santangelo). Inoltre, sono analizzate anche le nuove e vecchie dimensioni della realtà. Il ‘futuro’ dei media e quello della rete vengono rispettivamente tratteggiati da Jacopo Barigazzi e da Raoul Chiesa, mentre il ‘futuro’ delle città e quello dello spazio sono localizzati da Fabrizio Battistelli e da Alessandro Ricci.
Questo interessante volume, intrecciando gli studi internazionalistici con quelli strategici e geopolitici, vuole proiettare «su un orizzonte lungo progetti e dinamiche di cui oggi percepiamo solo un contorno sfumato», al fine di «attrezzarsi per prevenirne gli effetti più nefasti». Il testo curato da Ansalone e Zappalà vuole aprire delle «finestre» sul mondo che verrà. La realtà non è soltanto spezzettata e letta in profondità, ma anche ricomposta in forma di sintesi. In questo tentativo, pertanto, sia i politici sia la gente comune sono aiutati tanto nell’analisi, quanto nel giudizio. Non c’è catastrofismo nelle pagine del saggio, bensì speranza. Speranza anche di essere ironicamente smentiti.
Se, come ha osservato il grande giurista tedesco Rudolf von Jhering, «la politica vera è la visione dell’interesse lontano», allora 11 settembre 2012 è un utile e interessante strumento per vedere e immaginare il futuro della politica interna e internazionale.

Questa recensione al libro 11 settembre 2021. Le minacce del prossimo decennio, curato da Gianluca Ansalone e Angelo Zappalà è stata pubblicata sabato 21 aprile 2012 su www.ilsussidiario.net 





lunedì 16 aprile 2012

Articolo per CQ140







«Ancora tu ma non dovevamo vederci più?». Questo verso di Lucio Battisti descrive molto meglio di tante dichiarazioni ufficiali il clima che si respirava nella mattina di sabato 14 aprile a Istanbul. Infatti, i colloqui del 5+1 – Stati Uniti, Cina, Russia, Gran Bretagna, Francia e Germania – con l’Iran in merito al suo programma nucleare rappresentavano un’incognita importante per l’intero Medio Oriente. (continua a leggere)




Buon Compleanno!






Oggi, Benedetto XVI compie 85 anni. Buon compleanno Santo Padre!



Il gattopardo iracheno








1 maggio 2003. Portaerei USS Abraham Lincoln. George W. Bush dichiara al mondo: «missione compiuta». Dopo soltanto quaranta giorni dall’inizio delle operazioni, l’allora presidente degli Stati Uniti sancisce la fine della guerra contro il regime di Saddam Hussein.
            A quasi dieci anni di distanza, quale bilancio possiamo tirare della situazione in Iraq? Nel dicembre 2011, c’è stato il definitivo passaggio di potere nelle mani delle autorità di Baghdad e il ritiro delle truppe americane dal Paese. Tuttavia, non è possibile parlare di una vittoria. Piuttosto, questa sembra la triste storia di un duplice fallimento: non solo o soltanto americano (di cui, peraltro, si è già discusso infinitamente), ma anche e soprattutto iracheno.
Quest’ultimo è principalmente un fallimento delle sue élite politiche. In una nazione sorta dalla spartizione anglo-francese del 1918, il tentativo di impiantare la democrazia è in stallo e (forse) destinato a non veder mai una piena realizzazione. Tra i successi del processo di democratizzazione dobbiamo tuttavia annoverare non solo un parziale superamento del settarismo, ma anche una drastica riduzione delle violenze. Il primo è dovuto all’affermazione elettorale di alleanze inter-etniche, in grado di unire almeno parzialmente le tre componenti fondamentali del Paese: sunniti, sciiti e curdi. La seconda è invece legata all’inclusione nel processo politico dei sunniti, che hanno così tolto il loro sostegno ai miliziani stranieri di al Qaida.
La vera sfida è però rappresentata dalla deriva autoritaria del Primo Ministro Nuri al Maliki. Alla guida di un governo in prorogatio (dato che a due anni dalle elezioni non si è ancora trovata un’intesa tra le forze politiche), il premier sciita ha progressivamente consolidato il proprio potere sulle istituzioni dello Stato e sulle forze di sicurezza, al fine di combattere i propri rivali. Tanto che, sia i sunniti sia i curdi, lo accusano di voler instaurare una dittatura. L’incriminazione per terrorismo del vicepresidente sunnita Tariq al Hashimi e la violazione dell’autonomia curda nel nord del Paese sono soltanto i sintomi più evidenti di un malessere diffuso.
Mentre gli americani sembrano in maniera pilatesca ormai lavarsene le mani, l’insofferenza verso questa situazione cresce sia nella popolazione, sia nei gruppi politici avversari degli sciiti. A ciò si deve aggiungere l’incapacità della classe politica di rispondere ai bisogni della popolazione, oltre che il cinismo con cui gli altri Paesi della regione giocano per i propri interessi con la situazione irachena. Proprio nel momento in cui si è persa l’attenzione mediatica nei suoi confronti, l’Iraq si sta pericolosamente avvitando su se stesso. Le prospettive sul futuro non sono incoraggianti. E l’incubo di una nuova dittatura – non più sunnita, ma sciita – non è così improbabile.
Suona pertanto tristemente profetico il senso del lungo discorso che Don Fabrizio, il principe di Salina, fa al cavaliere Chevalley, sceso in Sicilia per cercare la classe dirigente del nuovo Regno d’Italia. Come ne Il Gattopardo, così anche in Iraq è assai probabile che «tutto cambia affinché nulla cambi».

Questo articolo è apparso su CQ140 l'11 aprile 2012 e sul Giornale del Popolo il 13 aprile 2012.



giovedì 12 aprile 2012

Il gattopardo iracheno






1 maggio 2003. Portaerei USS Abraham Lincoln. George W. Bush dichiara al mondo: «missione compiuta». Dopo soltanto quaranta giorni dall’inizio delle operazioni, l’allora presidente degli Stati Uniti sancisce la fine della guerra contro il regime di Saddam Hussein. A quasi dieci anni di distanza, quale bilancio possiamo tirare della situazione in Iraq? 




martedì 10 aprile 2012

Per una nuova generazione di politici






Lunedì 16 aprile alle ore 17:30 in Aula Pio XI presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore si terrà la lezione del prof. Lorenzo Ornaghi, Ministro per i Beni e le Attività Culturali, sul tema: Per una nuova generazione di politici.



sabato 7 aprile 2012

Fra i due litiganti l'Arabia Saudita (forse) gode






«Fra i due litiganti il terzo gode» non è solamente un celebre dramma di Giuseppe Sarti, messo in scena per la prima volta alla Scala di Milano nel 1782. Infatti, è molto di più. Il titolo dell’opera teatrale è anche il paradigma più adeguato per spiegare la situazione in Medio Oriente.
In gioco non c’è la mano della cameriera Dorina, contesa tra Mingone e Titta, ma l’attuale tensione tra Israele e Iran. Come alla fine del dramma tratto da Le nozze di Goldoni a prevalere sarà Masotto, così al termine della contrapposizione sul programma nucleare degli Ayatollah a godere potrebbe essere soltanto l’Arabia Saudita.
Pur a fronte del continuo inasprimento delle sanzioni internazionali, l’ultimo giro di vite è quello annunciato da Obama pochi giorni fa, il governo di Teheran non sembra per ora intenzionato a mollare la presa. Anzi, cercherà ancora una volta di alzare il livello della tensione per provocare un aumento dei prezzi del petrolio. E spaventare la comunità internazionale.
Al tempo stesso, da Gerusalemme non sembrano giungere notizie rassicuranti. All’inizio della scorsa settimana, l’autorevole «Foreign Policy» ha rilanciato rumors su un accordo dello Stato ebraico con l’Azerbaigian per l’utilizzo di basi aeree nel Paese caucasico. Prontamente smentite dalle autorità azere, le informazioni della rivista americana non sembrano però così campate in aria. La presunta disponibilità di Aliyev a offrire un appoggio logistico a Israele è certamente un importante tassello strategico in vista di uno strike contro i siti nucleari sospetti.
Ma, che cosa c’entra allora l’Arabia Saudita in tutto questo? La dinastia Āl Saʿūd è da sempre un acerrimo nemico dell’Iran, un rivale (a volte) collaborativo di Israele, e il più importante alleato arabo e islamico degli Stati Uniti in Medio Oriente. La sua politica estera è fondata su due principi, almeno in apparenza, inconciliabili. Da un lato, viene foraggiato e diffuso il wahabismo (una tradizione d’interpretazione coranica conservatrice e radicale che vuole riportare l’Islam all’originaria purezza). Dall’altro, viene storicamente concesso un fondamentale appoggio logistico-militare per lo USCENTCOM. Questa spregiudicata e cinica Realpolitik, però, sembra dar ragione all’Arabia Saudita.
La monarchia di Riyāḍ aspetta alla finestra gli sviluppi di una crisi che, se dovesse giungere fino alla guerra, potrebbe portare a un nuovo indebolimento dell’Iran, a un ulteriore isolamento di Israele e a una non quantificabile escalation di violenza in tutto il Medio Oriente. Una prospettiva che sembra destinata a favorire la definitiva affermazione del governo saudita come principale potenza regionale.
Nel palazzo di Re ‘Abd Allāh, non dovrebbe essere difficile sentir risuonare in questi mesi le note di “Come un agnello”, ossia quell’aria dell’opera di Sarti che anche Mozart volle citare nel banchetto finale del suo Don Giovanni. D’altronde, sembra proprio che ancora una volta fra i due litiganti sarà il terzo a godere.

Questo articolo è stato pubblicato su CQ140 il 2 aprile 2012