Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

venerdì 30 marzo 2012

Se il tuono anticipa il fulmine: Weibo e il (presunto) Colpo di Stato in Cina







Nelle Considérations politiques sur les coups d'état del 1639, Gabriel Naudé fu perentorio: il Colpo di Stato anticipa la sua enunciazione, come il fulmine anticipa il tuono. La segretezza, infatti, è fondamentale per il buon esito di un atto con cui un gruppo di congiurati (o un settore chiave della burocrazia statale) cerca di modificare l’assetto istituzionale di un Paese mediante l’uso della forza.
In Cina, almeno ultimamente, l’opera dell’intellettuale francese non deve avere grande mercato editoriale o attirare molti lettori. Molti e più assidui frequentatori è invece in grado di calamitare Weibo, il più famoso sito di microblogging cinese. Il social network asiatico – un ibrido fra Twitter e Facebook – conta più di 300 milioni d’iscritti e 2 milioni di post pubblicati giornalmente.
Non è pertanto un caso che tra il 19 e il 22 marzo si sia diffusa rapidamente – proprio attraverso Weibo – la notizia di un tentativo (seppur fallito) di colpo di Stato in Cina. Rilanciato da qualche media internazionale, il rumor non trova ovviamente conferma ufficiale. Ad organizzare il “golpe” sarebbero stati Bo Xilai, ex potentissimo segretario del partito comunista della metropoli di Chongqing (già esautorato), e Zhou YongKang, capo degli apparati militari e membro del Politburo del Partito comunista cinese.
Questa curiosa notizia ci permette di tentare almeno due brevi considerazioni. L’una strettamente legata al presente e al futuro dei social network, l’altra più genuinamente politica.
Da un lato, infatti, emerge ancora una volta come Twitter, Facebook o Weibo – anche all’interno di Paesi, dove la censura è ramificata – rappresentino uno strumento straordinario per la diffusione di notizie. Dall’Egitto all’Iran, dalla Siria alla Cina, la protesta popolare si muove sulla rete. Un forte dubbio rimane semmai sull’attendibilità delle fonti e sull’uso distorsivo di tali mezzi per finalità propagandistiche (sia dei governi, sia delle forze di opposizione). Interessante è poi sottolineare l’insolita, ma assai astuta, tolleranza cinese verso Weibo: meglio avere persone ‘isolate’ che twittano o postano, piuttosto che disordini ‘organizzati’ di piazza. Una Tienanmen mediatica non è all’orizzonte. E, quindi, non fa davvero paura.
Dall’altro lato, appare ancora più evidente come lo scontro tra riformisti e neo-maoisti sia sempre più aspro all’interno del Partito, in un momento assai delicato per la frenata dell’economia cinese. L’urgente necessità di riforme economiche, fiscali e sociali s’interseca poi con la sfida per il potere in vista della successione al Presidente Hu Jintao. In pole position, c’è il delfino designato Xi Jinping. Tuttavia, cruciale sembra la battaglia per le poltrone del Comitato permanente del Politburo. Sette dei suoi attuali membri, infatti, usciranno di scena per raggiunti limiti di età.
Nei prossimi mesi, c’è da scommetterci, sentiremo ancora parlare di complotti e faide, magari proprio attraverso Weibo. E chissà se questa volta il fulmine arriverà prima del tuono.

Articolo pubblicato su CQ140 il 26 marzo 2012

giovedì 29 marzo 2012

The Full Monti: squattrinati organizzati?




CINA/ Dai marò a Hu Jintao, ecco i dossier che lasciano in “mutande” l’Italia


Nel 1997, il regista e sceneggiatore inglese Peter Cattaneo con The Full Monty riscosse un grande successo di pubblico e di critica. La pellicola, ambientata a Sheffield, racconta la storia di Gaz e Dave, due disoccupati quotidianamente impegnati a trovare un modo per sbarcare il lunario. Gli espedienti non mancano ai protagonisti, ma le difficoltà economiche non mollano la presa. Un giorno Gaz trova una soluzione al problema. Decide così di mettere in scena uno spettacolo di spogliarello maschile, coinvolgendo nell’impresa altri disoccupati. Il successo non si farà attendere.
Il titolo del film, tradotto dall’inglese, suona così: «servizio completo». Nel nostro Paese, l’opera di Cattaneo venne mandata nelle sale cinematografiche con l’azzeccato sottotitolo «squattrinati organizzati». Al di là della più che ovvia assonanza con il cognome dell’attuale Presidente del Consiglio dei ministri, un’assonanza spesso richiamata anche nei roboanti titoli di Dagospia, sono soprattutto le peripezie di Gaz e Dave a risultare uno specchio ben molato delle vicende italiane. Come i due protagonisti, infatti, anche l’Italia – uno Stato (ma, conta ricordarlo, non un Paese) squattrinato e anche mal organizzato – è giunta al proprio ‘Full Monti’ dopo una lunga serie di espedienti e peripezie politiche. E lo spettacolo – almeno, così appare – sembra riscontrare se non un vero e proprio successo, almeno un grande apprezzamento sulla scena globale.
Un paradigma di ciò è il viaggio in Asia di Mario Monti. Un viaggio che possiamo leggere attraverso la lente del film di Cattaneo, proprio perché un tale viaggio – forse, ancora più della non troppo lontana missione in America – è in grado di mettere a nudo la vera essenza della nostra politica estera e l’effettivo ruolo che l’Italia potrà ritagliarsi sulla scena internazionale.
A margine del vertice sulla sicurezza nucleare di Seul, e poco prima dalla visita ufficiale in Giappone e in Cina, il nostro premier ha ottenuto importanti riconoscimenti da varie personalità internazionali. Barack Obama, manifestando vicinanza e apprezzamento per il lavoro di Monti, ha sottolineato il «ruolo molto importante» che l’Italia ricopre in Europa e nel mondo. Quasi a fare eco alle parole del Presidente degli Stati Uniti, sono giunte quelle di Hu Jintao. Il Presidente cinese non ha usato mezzi termini, promettendo che suggerirà ai suoi connazionali di «investire in Italia». Dopo aver incassato l’endorsement politico delle due più importanti potenze del sistema internazionale, Monti si è detto ovviamente soddisfatto. Al tempo stesso, egli ha giustamente cercato di non cadere vittima di un eccessivo autocompiacimento (una sindrome mortale in politica internazionale).
Il nostro premier, inoltre, è stato paragonato dal Wall Street Journal a Margareth Thatcher. La ragione di un tale giudizio? Il «coraggio politico» dimostrato con la riforma del mercato del lavoro. Una riforma che è ritenuta «utile ancorché moderata». Sulla riforma non è mancata neanche la ben più importante approvazione incassata da parte dell’Ocse. Insomma, le sorti magnifiche e progressive di ‘Full Monti’ sembrano segnate. «Se intende fare di questa riforma il primo e non l'ultimo passo di un’agenda più ambiziosa per rilanciare la crescita italiana», ha chiosato ancora l’autorevole quotidiano economico, «questo suo unico mandato potrebbe diventare grandioso». Ma, davvero, il nostro ‘Full Monti’ è stato (e sarà) in grado di mettere a nudo le nostre migliori qualità sulla scena internazionale?
Certamente, non si può che essere soddisfatti del rinnovato credito che il nostro Paese sembra aver acquisito nel sistema globale. Tuttavia, la sostanza vale tanto e forse più della forma. Pertanto, occorre non farsi troppe illusioni. E, soprattutto, non bisogna scambiare in maniera miope l’attestazione di stima e le promesse dei più importanti attori geopolitici mondiali con il nostro effettivo peso internazionale. Nella vicenda dei marò, per esempio, non pochi sono stati gli errori di analisi e di prassi dell’Italia. Grazie al cielo, dopo un iniziale sbandamento, la vicenda è ora attentamente seguita da vicino dal capace ed esperto sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura. Ciò non toglie, però, che molti dei ritardi accumulati per cercare di trovare una soluzione all’intricato caso potevano essere evitati.
Ancora più decisivo sarà poi vedere come il nostro Paese si muoverà nell’ambito dei tanti e spinosi dossier sul tavolo: dalle missioni internazionali alla sicurezza energetica, dal contare di più in Europa al rapporto con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, dalla capacità di attrarre effettivi (e non solo promessi) investimenti internazionali alla questione ambientale transnazionale.
È nella prassi della nostra politica estera, piuttosto che nelle sue intenzioni o negli attestati di stima ricevuti, che sta iscritta la possibilità reale di contare davvero di più nel mondo. Proprio come nell’originale The Full Monty, sarà pertanto decisiva la volontà di dar vita a un vero spettacolo in grado di mettere a nudo la nostra reale capacità di proiezione internazionale. Sarebbe, però, altrettanto fondamentale che nel far ciò non si finisca per rimanere pericolosamente in mutande.




Articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net il 28 marzo 2012 



mercoledì 28 marzo 2012

Articolo per Il sussidiario




CINA/ Dai marò a Hu Jintao, ecco i dossier che lasciano in “mutande” l’Italia


Oggi Il sussidiario pubblica un mio commento molto ironico sul viaggio di Mario Monti in Asia.


lunedì 26 marzo 2012

sabato 24 marzo 2012

«Ritorneremo a casa insieme». Una preghiera per un altro dei nostri ragazzi morto in Afghanistan







Stiamo andando nella valle dell'Ombra e della Morte, dove guarderete le spalle all'uomo vicino a voi, mentre lui guarderà le vostre. E non vi curerete del colore della sua pelle, e nemmeno del modo con il quale egli chiama Dio. Stiamo andando a combattere un nemico duro e determinato. Non vi posso promettere che vi riporterò tutti a casa vivi. Ma questo vi giuro... quando andremo in battaglia, sarò il primo a mettere piede sul campo, e sarò l'ultimo a lasciarlo. E non lasceremo indietro nessuno... vivo o morto. Noi ritorneremo a casa assieme. 


Ten. Col. Hal Moore, 1 Batt. 7° Cavalleria USA

Sabato 14 Novembre 1965, La Drang (Vietnam)



giovedì 22 marzo 2012

Lo SWIFT taglia i viveri alle banche iraniane: «se potessi avere mille lire al mese»







Nel 1939, Gilberto Mazzi cantava «se potessi avere mille lire al mese». Il ritornello del brano scritto da Carlo Innocenzi e Alessandro Sopranzi è diventato poi l’inno di una generazione. Ma, molto probabilmente, se venisse trasmesso oggi per le strade di Teheran non rappresenterebbe nemmeno una magra consolazione.
La strategia delle sanzioni, infatti, sembra aver cambiato definitivamente registro. Il suo obiettivo appare ormai chiaro: isolare definitivamente l’economia iraniana così da bloccare il controverso programma nucleare del regime degli Ayatollah.
Venerdì scorso, attraverso un breve comunicato stampa, la Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT) ha reso noto che a partire dal pomeriggio di sabato 17 marzo avrebbe tagliato i servizi alle banche iraniane soggette alle sanzioni imposte dall’Unione europea. Non è stata divulgata alcuna lista degli istituti coinvolti. Ma dovrebbero essere almeno trenta le banche nel mirino, compresa la Banca centrale iraniana.
SWIFT fornisce servizi fondamentali per transazioni finanziarie, esportazioni di petrolio e altri scambi commerciali. Pertanto, la disconnessione dal suo network aggraverà lo stato di salute di un sistema economico-finanziario già stremato. I cittadini iraniani avranno sempre più problemi a ottenere finanziamenti per i propri bisogni quotidiani. Mentre, per Teheran sarà non solo più difficile vendere gas e petrolio, ma anche riceverne il pagamento.
«Disconnettere le banche è una misura straordinaria e senza precedenti per la SWIFT» ha affermato il CEO Lazaro Campos, specificando che la società belga è stata costretta ad agire in questo modo per obbedire alle decisioni del Consiglio europeo e del Governo del Belgio. Anche se, c’è da scommetterci, un grande ruolo è stato giocato nell’ombra dagli Stati Uniti. America ed Europa mettono così a segno un importante punto a loro vantaggio nella partita contro l’Iran. Anche Israele pare che abbia gradito l’iniziativa. Trapela, infatti, da fonti israeliane che Netanyahu ne sia stato promotore con Obama nel suo recente viaggio negli Stati Uniti.
Le conseguenze che questo strike finanziario contro l’Iran avrà nei prossimi mesi non sono al momento quantificabili. Ed è bene non farsi troppe illusioni. Tuttavia, esso rappresenta un passaggio cruciale nella delicata situazione mediorientale, proprio perché potrebbe placare i venti di guerra nella regione. Non è un caso che un alto ufficiale israeliano, rallegrandosi per l’esclusione delle banche iraniane dal sistema finanziario regolato dalla SWIFT, abbia definito l’intera operazione un «colpo mortale» per il regime di Teheran.
C’è da augurarsi che gli sforzi della comunità internazionale – rivolti non solo a bloccare il programma nucleare iraniano, ma anche a evitare un intervento armato israeliano – riescano nel loro intento. E ciò per il bene dei popoli di Iran, d’Israele e dell’intero Medio Oriente.


Questo articolo è stato pubblicato su CQ140 il 19 marzo 2012



lunedì 19 marzo 2012

Incontro con Evgeny Utkin


Articolo per CQ140






Oggi, CQ140 pubblica una mia analisi sull'incremento delle sanzioni economiche contro Teheran attraverso la sua disconnessione dal circuito SWITF. Buona lettura!



domenica 18 marzo 2012

Una preghiera per Fabrice Muamba






Pregare. Non c'è da fare altro. Soltanto pregare per Fabrice Muamba. Ma invito tutti anche a leggere il bel pezzo scritto dall'amico Emmanuele Michela sul suo blog Colpo di reni.







sabato 17 marzo 2012

Gli ultimi re di Scozia






Italia-Scozia: 13-6. Pieno controllo della partita e un po' di sana sofferenza regalano alla nazionale di Jacques Brunel la prima vittoria nel 6 nazioni 2012. Il cucchiaio di legno, poco adatto all'ottima cucina italiana, va a Edimburgo. Grande metà di Venditti davanti agli spettatori giunti all'Olimpico di Roma. Ma con un cognome del genere, non poteva essere altrimenti: omen nomen. Dopo un torneo fatto di tante disattenzioni e di una forte carica agonistica solo nella prima parte dei match, questa è una vittoria che da coraggio per il futuro del progetto del coach che ha reso grande Perpignan in Top 14. Gli ultimi re di Scozia!



venerdì 16 marzo 2012

Sulle orme dell'«orso» russo







Mentre gli occhi del mondo sono ancora puntati sulla politica interna della Russia, il Cremlino inizia già a rivolgere il suo sguardo verso la politica estera. A poco più di una settimana dalle contestate elezioni che per la terza volta hanno riconfermato presidente Vladimir Putin, è allora giunto il momento di incominciare a scrutare il sentiero internazionale sul quale l’«orso» russo imprimerà le proprie orme.
            Il 27 febbraio scorso, in apertura dell’ultima settimana di campagna elettorale, l’allora Primo ministro pubblicò sulla «Moskovskiye Novosti» un lungo articolo dal titolo Russia and the changing world. Dalle colonne del quotidiano moscovita, egli non solo delineava le linee essenziali di politica estera per il presente, ma esprimeva anche e soprattutto una precisa visione geopolitica del futuro.
Per molti versi, l’ambizioso obiettivo dell’ex agente del Kgb nell’ambito della politica estera è assai semplice: rendere la Russia di nuovo una Grande potenza regionale, in grado però di far sentire il peso dei propri interessi anche a livello globale all’interno di un sistema destinato a diventare sempre più multipolare. Oltre a riaffermare la decennale diffidenza verso gli Stati Uniti e la Nato, Putin si sofferma estesamente sulla primavera araba, sull’Iran, sull’Afghanistan, sull’India, sulle Repubbliche Baltiche e sulla regione dell’Asia-Pacifico. Dopo la disastrosa esperienza libica, è tuttavia il caso della Siria che lo spinge a ribadire con forza la necessità di un ritorno al pieno rispetto del principio di sovranità e di quello di non ingerenza. Secondo Putin, infatti, è arrivato il momento che gli Stati smettano di giustificare interventi armati con motivi umanitari o con il principio dell’esportazione della democrazia. Il neo-presidente invita ciascun Paese a non immischiarsi negli affari interni degli altri (e, in particolare, di quelli russi). In altri termini, Putin auspica un ritorno alla Realpolitik.


 


Ma è la prospettiva geopolitica espressa da Putin a meritare interesse, suscitare attenzione e, forse, destare preoccupazione. Nel suo articolo, egli individua per il proprio Paese due direttrici fondamentali di sviluppo strategico: l’una rivolta verso Oriente, l’altra verso Occidente. Da un lato, sottolineando le formidabili prospettive di crescita economica della Cina, Putin sostiene l’importanza di una maggiore interdipendenza tra i due Paesi all’interno della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Quest’ultima, infatti, è potenzialmente uno strumento per la definitiva affermazione delle ambizioni di potenza sino-russe all’interno della regione asiatica: la SCO, con l’eventuale inclusione del Pakistan e dell’Iran, potrebbe ben presto diventare un sistema di sicurezza regionale coeso e strategicamente determinante. Un sistema che costringerebbe persino gli Stati Uniti a rivedere la presenza capillare di truppe e basi militari all’interno di alcuni Paesi della regione. Dall’altro lato, ribadendo la «inalienabile» e «organica» appartenenza della Russia alla civiltà e al sistema interstatale dell’Europa, il neo-presidente afferma l’irrinunciabilità dei progetti per la sicurezza energetica dei vari Stati del Vecchio continente. Il gasdotto North Stream, che corre sotto il Mar Baltico, e quello South Stream, che passa sotto il Mar Nero, rappresentano le arterie con cui la Russia può non soltanto corrispondere alla sete di energia dei Paesi europei, ma legarli anche sempre più a sé. Se il primo è già attivo, il secondo è ancora in fase di realizzazione. Ciò non toglie che entrambi rappresentino delle opzioni maggiormente credibili rispetto ai grandi proclami, ma agli ancora scarsi risultati del progetto Nabucco (intenzionato a creare una via di rifornimento alternativa al gas russo). In tal modo, il pragmatismo di Mosca sembra mostrare l’ineludibile forza del decisionismo putiniano.
Pur se non bisogna perdere di vista gli sviluppi (ormai sempre più esigui e isolati) delle proteste di piazza per l’aspirazione di un popolo alla democrazia, occorre anche guardare con disincanto alla realtà politica di un sistema di potere ancora diffuso, radicato e ambizioso. Nella volontà di riconsegnare alla Russia una grandezza fortemente offuscata o ormai perduta, il suo nuovo Zar sta già cercando – e lo farà ancora di più in futuro – di conquistare spazio strategico. L’«orso» russo è in cammino e, ben presto, c’è da scommettere che oltre alle orme inizieremo a scorgere anche i suoi artigli.


 


Questo articolo è già stato pubblicato su www.centoquaranta.com il 12 marzo 2012.




lunedì 12 marzo 2012

Articolo su CQ140






Oggi su CQ140 c'è una mia analisi sul futuro della politica estera russa e sulla strategia geopolitica di Vladimir Putin.

sabato 10 marzo 2012

Orizzonte di tempesta in Medio Oriente







«Nessuna nazione è sacra e unica, né gli Stati Uniti né le altre». Così il grande storico americano Arthur M. Schlesinger Jr. affermava con convinzione nel 1986, riflettendo sulla politica estera del proprio Paese. Erano gli ultimi anni di una contrapposizione, quella bipolare, che aveva visto sfidarsi due visioni del mondo antitetiche e (ciascuna, almeno nella propria sfera d’influenza) considerate “salvifiche”. «Tutte le nazioni sono vicine a Dio», continuava l’autore nelle pagine di The Cycles of American History, «al pari di ogni altro paese, l’America ha interessi reali e immaginari, tensioni generose ed egoistiche e moventi onorevoli e squallidi».
Queste osservazioni di Schlesinger, che per ogni nazione rimangono valide oggi come lo erano più di vent’anni fa, richiamano alla mente in maniera stridente l’infuocato rapporto tra due Paesi del Medio Oriente: Israele e Iran. Il primo, l’unica democrazia della regione, vive dal momento della fondazione in un perenne stato di guerra. Il secondo, una teocrazia islamica sciita, è sotto l’attenzione della comunità internazionale ormai da anni per via del proprio programma nucleare. Ma ciò che ironicamente accomuna queste due realtà antitetiche e inconciliabili è la pericolosa predisposizione a perseguire linee di politica estera “escatologiche”, proprio perché investite di un presunto (ma fortemente creduto) compito divino. Pertanto, due Stati vicini a Dio, fermamente convinti non di essere un esperimento, ma di avere un destino.




Ad aggravare questa (almeno, potenzialmente) esplosiva situazione si aggiunge la «teologia politica» – o, forse, potremmo anche dire la ‘politica teologica’ – dei loro rispettivi leaders. Da un lato, l’ormai più che ventennale Guida Suprema dell’Iran Khamenei (e il recentemente sconfitto alle elezioni del Majlis e ridimensionato Ahmadinejad) affermano di perseguire lo sradicamento di Israele dal Medio Oriente. Dall’altro, il Primo ministro Benjamin Netanyahu – figlio di un importante storico ebreo e fratello di un ereo di guerra morto a Entebbe, durante un’operazione antiterrorismo – è fermamente convinto di essere stato messo al mondo per salvare il popolo ebreo proprio dall’Iran.
Una situazione certamente incandescente, la quale potrebbe condurre ancora una volta la politica a mostrare il proprio lato genuinamente irrazionale. Uno strike preventivo israeliano, opzione che anche gli Stati Uniti sperano di evitare, potrebbe aprire scenari imprevedibili e assai destabilizzanti per tutto il Medio e Vicino Oriente. D’altronde, un Iran nucleare potrebbe aprire una corsa all’arma atomica nell’intera regione (in prevalenza sunnita), al fine di ristabilire un’equilibrio strategico tra gli Stati che la compongono. In altri termini, un nuovo «equilibrio del terrore» all’interno però di una situazione assai più preoccupante rispetto a quella del mondo bipolare. 
Soltanto il tempo, ormai sempre più limitato, sarà in grado di diradare le previsioni sul domani. Oggi, tuttavia, l'orizzonte appare oscurato da dense e pesanti nubi di tempesta. 






Articolo già pubblicato l'8 marzo 2012 su www.centoquaranta.com





giovedì 8 marzo 2012

Perché «Il pensiero è essenziale»






Oggi, con un'analisi sulla tensione tra Israele e Iran, inizio la mia collaborazione con il team di CQ140, un un network culturale che ospita opinioni su politica, economia, società, cultura. Un pensiero su scala globale che arriva da Stati Uniti, Svizzera, Roma, Milano, Gerusalemme. Un modo nuovo e moderno di vedere l’attualità, attraverso tweet, approfondimenti, video. Al ritmo di centoquaranta caratteri, al battito di un minuto e quaranta secondi.




To be continued...



Il naufragio dello Ius Gentium







Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò del San Marco accusati di aver ucciso dei pescatori lo scorso 15 febbraio, sono in un carcere in India dal 6 febbraio. Il fatto è avvenuto in acque internazionali, i nostri soldati hanno agito nell'ambito delle loro funzioni (quindi, sono naturalmente soggetti alla legge italiana), ma l'India contro ogni norma di diritto internazionale e marittimo li tratta alla stregua di delinquenti comuni.
Le tensioni diplomatiche tra Italia e India possono creare un pericoloso precedente. E mettere in crisi uno strumento di lotta alla pirateria. Stupisce non solo che ciò avvenga tra tre snodi strategici fondamentali per il commercio internazionale (ossia il Canale di Suez, lo Stretto di Hormuz e quello di Malacca), in cui dovrebbe essere garantita grazie alla cooperazione internazionale e nell'interesse collettivo una via di navigazione sicura, ma anche che - per convenienze politiche interne - a determinare una tale situazione sia l'India. Una nazione che tra gli emergenti Paesi Brics rappresenta un punto di riferimento - certo pieno di limiti e incongruenze - per l'intera comunità internazionale.
Per il momento, la situazione appare confusa e in divenire. Tuttavia, ci auguriamo che l'Italia faccia sentire con ancora più forza la propria voce, affinché per i nostri marò si apra una speranza e non un incubo. Inoltre, speriamo che lo Ius Gentium venga presto tratto in salvo da un sicuro naufragio.   





martedì 6 marzo 2012

Pensavo fosse amore invece era un Carroccio






L'allenza con la Lega è finita. Il PdL va per la sua strada già dalle prossime amministrative. Una scelta forte quella che il segretario Angelino Alfano ha annunciato da Castellammare di Stabia. Una decisione ardita - molto simile a una traversata nel deserto, anche perché sulle alleanze si naviga ancora a vista - per il PdL, ma certamente un possibile colpo di grazia per la Lega. Quest'ultima, infatti, presentandosi da sola anche alle amministrative, perderà non solo il suo "potenziale di coalizione", ma anche quello di "ricatto". In altri termini, esiste il concreto rischio per la Lega di scomparire come forza di governo sia politico, sia amministrativo. Una sorta di ritorno alle origini del movimento padano, che però assomiglia assai più a un fatale fischio finale. Parafrasando il titolo di un bel film di Massimo Troisi, "pensavo fosse amore invece era un Carroccio".  





lunedì 5 marzo 2012

La crisi della civiltà europea secondo Johan Huizinga







Gli Stati continueranno a comportarsi in primo luogo e prevalentemente secondo il proprio interesse o quello che reputano tale, e la morale internazionale a mala pena li indurrà ad oltrepassare di un millimetro la linea di ciò che quest'interesse - cioè la paura della solidarietà internazionale - prescriverà loro. Ma quel millimetro è lo spazio dove stanno l'onore e la fiducia, ed è molto maggiore di alcune migliaia di miglia di volontà di potenza e di prepotenza. [...] Lo stato è un'entità che, data l'imperfezione delle cose umane, si reggerà su certe norme che non sono quelle di una morale sociale fondata sulla fiducia, e tanto meno sono quelle della fede cristiana. Ma tuttavia non gli sarà lecito perdere completamente di vista le norme della moralità, sia cristiana che sociale, sotto pena di perire in conseguenza della sua propria apostasia.

Johan Huizinga, In de schaduwen van morgen, H.T. Tjeenk Willink & Zoon, Haarlem 1935; trad. it. La crisi della civiltà, Einaudi, Torino 1962, pp. 99-100.