Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

venerdì 16 marzo 2012

Sulle orme dell'«orso» russo







Mentre gli occhi del mondo sono ancora puntati sulla politica interna della Russia, il Cremlino inizia già a rivolgere il suo sguardo verso la politica estera. A poco più di una settimana dalle contestate elezioni che per la terza volta hanno riconfermato presidente Vladimir Putin, è allora giunto il momento di incominciare a scrutare il sentiero internazionale sul quale l’«orso» russo imprimerà le proprie orme.
            Il 27 febbraio scorso, in apertura dell’ultima settimana di campagna elettorale, l’allora Primo ministro pubblicò sulla «Moskovskiye Novosti» un lungo articolo dal titolo Russia and the changing world. Dalle colonne del quotidiano moscovita, egli non solo delineava le linee essenziali di politica estera per il presente, ma esprimeva anche e soprattutto una precisa visione geopolitica del futuro.
Per molti versi, l’ambizioso obiettivo dell’ex agente del Kgb nell’ambito della politica estera è assai semplice: rendere la Russia di nuovo una Grande potenza regionale, in grado però di far sentire il peso dei propri interessi anche a livello globale all’interno di un sistema destinato a diventare sempre più multipolare. Oltre a riaffermare la decennale diffidenza verso gli Stati Uniti e la Nato, Putin si sofferma estesamente sulla primavera araba, sull’Iran, sull’Afghanistan, sull’India, sulle Repubbliche Baltiche e sulla regione dell’Asia-Pacifico. Dopo la disastrosa esperienza libica, è tuttavia il caso della Siria che lo spinge a ribadire con forza la necessità di un ritorno al pieno rispetto del principio di sovranità e di quello di non ingerenza. Secondo Putin, infatti, è arrivato il momento che gli Stati smettano di giustificare interventi armati con motivi umanitari o con il principio dell’esportazione della democrazia. Il neo-presidente invita ciascun Paese a non immischiarsi negli affari interni degli altri (e, in particolare, di quelli russi). In altri termini, Putin auspica un ritorno alla Realpolitik.


 


Ma è la prospettiva geopolitica espressa da Putin a meritare interesse, suscitare attenzione e, forse, destare preoccupazione. Nel suo articolo, egli individua per il proprio Paese due direttrici fondamentali di sviluppo strategico: l’una rivolta verso Oriente, l’altra verso Occidente. Da un lato, sottolineando le formidabili prospettive di crescita economica della Cina, Putin sostiene l’importanza di una maggiore interdipendenza tra i due Paesi all’interno della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Quest’ultima, infatti, è potenzialmente uno strumento per la definitiva affermazione delle ambizioni di potenza sino-russe all’interno della regione asiatica: la SCO, con l’eventuale inclusione del Pakistan e dell’Iran, potrebbe ben presto diventare un sistema di sicurezza regionale coeso e strategicamente determinante. Un sistema che costringerebbe persino gli Stati Uniti a rivedere la presenza capillare di truppe e basi militari all’interno di alcuni Paesi della regione. Dall’altro lato, ribadendo la «inalienabile» e «organica» appartenenza della Russia alla civiltà e al sistema interstatale dell’Europa, il neo-presidente afferma l’irrinunciabilità dei progetti per la sicurezza energetica dei vari Stati del Vecchio continente. Il gasdotto North Stream, che corre sotto il Mar Baltico, e quello South Stream, che passa sotto il Mar Nero, rappresentano le arterie con cui la Russia può non soltanto corrispondere alla sete di energia dei Paesi europei, ma legarli anche sempre più a sé. Se il primo è già attivo, il secondo è ancora in fase di realizzazione. Ciò non toglie che entrambi rappresentino delle opzioni maggiormente credibili rispetto ai grandi proclami, ma agli ancora scarsi risultati del progetto Nabucco (intenzionato a creare una via di rifornimento alternativa al gas russo). In tal modo, il pragmatismo di Mosca sembra mostrare l’ineludibile forza del decisionismo putiniano.
Pur se non bisogna perdere di vista gli sviluppi (ormai sempre più esigui e isolati) delle proteste di piazza per l’aspirazione di un popolo alla democrazia, occorre anche guardare con disincanto alla realtà politica di un sistema di potere ancora diffuso, radicato e ambizioso. Nella volontà di riconsegnare alla Russia una grandezza fortemente offuscata o ormai perduta, il suo nuovo Zar sta già cercando – e lo farà ancora di più in futuro – di conquistare spazio strategico. L’«orso» russo è in cammino e, ben presto, c’è da scommettere che oltre alle orme inizieremo a scorgere anche i suoi artigli.


 


Questo articolo è già stato pubblicato su www.centoquaranta.com il 12 marzo 2012.




Nessun commento:

Posta un commento