Mentre
gli occhi del mondo sono ancora puntati sulla politica interna della Russia, il
Cremlino inizia già a rivolgere il suo sguardo verso la politica estera. A poco
più di una settimana dalle contestate elezioni che per la terza volta hanno
riconfermato presidente Vladimir Putin, è allora giunto il momento di incominciare
a scrutare il sentiero internazionale sul quale l’«orso» russo imprimerà le
proprie orme.
Il 27 febbraio scorso, in apertura
dell’ultima settimana di campagna elettorale, l’allora Primo ministro pubblicò
sulla «Moskovskiye Novosti» un lungo
articolo dal titolo Russia and the changing
world. Dalle colonne del quotidiano moscovita, egli non solo delineava le linee
essenziali di politica estera per il presente, ma esprimeva anche e soprattutto
una precisa visione geopolitica del futuro.
Per molti
versi, l’ambizioso obiettivo dell’ex agente del Kgb nell’ambito della politica
estera è assai semplice: rendere la Russia di nuovo una Grande potenza
regionale, in grado però di far sentire il peso dei propri interessi anche a
livello globale all’interno di un sistema destinato a diventare sempre più
multipolare. Oltre a riaffermare la decennale diffidenza verso gli Stati Uniti
e la Nato, Putin si sofferma estesamente sulla primavera araba, sull’Iran, sull’Afghanistan,
sull’India, sulle Repubbliche Baltiche e sulla regione dell’Asia-Pacifico. Dopo
la disastrosa esperienza libica, è tuttavia il caso della Siria che lo spinge a
ribadire con forza la necessità di un ritorno al pieno rispetto del principio di
sovranità e di quello di non ingerenza. Secondo Putin, infatti, è arrivato il
momento che gli Stati smettano di giustificare interventi armati con motivi
umanitari o con il principio dell’esportazione della democrazia. Il
neo-presidente invita ciascun Paese a non immischiarsi negli affari interni
degli altri (e, in particolare, di quelli russi). In altri termini, Putin
auspica un ritorno alla Realpolitik.
Ma è la
prospettiva geopolitica espressa da Putin a meritare interesse, suscitare
attenzione e, forse, destare preoccupazione. Nel suo articolo, egli individua per
il proprio Paese due direttrici fondamentali di sviluppo strategico: l’una
rivolta verso Oriente, l’altra verso Occidente. Da un lato, sottolineando le formidabili
prospettive di crescita economica della Cina, Putin sostiene l’importanza di
una maggiore interdipendenza tra i due Paesi all’interno della Shanghai Cooperation Organization (SCO).
Quest’ultima, infatti, è potenzialmente uno strumento per la definitiva
affermazione delle ambizioni di potenza sino-russe all’interno della regione
asiatica: la SCO, con l’eventuale inclusione del Pakistan e dell’Iran, potrebbe
ben presto diventare un sistema di sicurezza regionale coeso e strategicamente
determinante. Un sistema che costringerebbe persino gli Stati Uniti a rivedere
la presenza capillare di truppe e basi militari all’interno di alcuni Paesi della
regione. Dall’altro lato, ribadendo la «inalienabile» e «organica» appartenenza
della Russia alla civiltà e al sistema interstatale dell’Europa, il
neo-presidente afferma l’irrinunciabilità dei progetti per la sicurezza energetica
dei vari Stati del Vecchio continente. Il gasdotto North Stream, che corre
sotto il Mar Baltico, e quello South Stream, che passa sotto il Mar Nero,
rappresentano le arterie con cui la Russia può non soltanto corrispondere alla sete
di energia dei Paesi europei, ma legarli anche sempre più a sé. Se il primo è
già attivo, il secondo è ancora in fase di realizzazione. Ciò non toglie che
entrambi rappresentino delle opzioni maggiormente credibili rispetto ai grandi
proclami, ma agli ancora scarsi risultati del progetto Nabucco (intenzionato a
creare una via di rifornimento alternativa al gas russo). In tal modo, il
pragmatismo di Mosca sembra mostrare l’ineludibile forza del decisionismo
putiniano.
Pur se non bisogna perdere di vista gli
sviluppi (ormai sempre più esigui e isolati) delle proteste di piazza per
l’aspirazione di un popolo alla democrazia, occorre anche guardare con
disincanto alla realtà politica di un sistema di potere ancora diffuso,
radicato e ambizioso. Nella volontà di riconsegnare alla Russia una grandezza fortemente
offuscata o ormai perduta, il suo nuovo Zar sta già cercando – e lo farà ancora
di più in futuro – di conquistare spazio strategico. L’«orso» russo è in cammino e, ben presto, c’è da
scommettere che oltre alle orme inizieremo a scorgere anche i suoi artigli.
Questo articolo è già stato pubblicato su www.centoquaranta.com il 12 marzo 2012.
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