Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

giovedì 29 marzo 2012

The Full Monti: squattrinati organizzati?




CINA/ Dai marò a Hu Jintao, ecco i dossier che lasciano in “mutande” l’Italia


Nel 1997, il regista e sceneggiatore inglese Peter Cattaneo con The Full Monty riscosse un grande successo di pubblico e di critica. La pellicola, ambientata a Sheffield, racconta la storia di Gaz e Dave, due disoccupati quotidianamente impegnati a trovare un modo per sbarcare il lunario. Gli espedienti non mancano ai protagonisti, ma le difficoltà economiche non mollano la presa. Un giorno Gaz trova una soluzione al problema. Decide così di mettere in scena uno spettacolo di spogliarello maschile, coinvolgendo nell’impresa altri disoccupati. Il successo non si farà attendere.
Il titolo del film, tradotto dall’inglese, suona così: «servizio completo». Nel nostro Paese, l’opera di Cattaneo venne mandata nelle sale cinematografiche con l’azzeccato sottotitolo «squattrinati organizzati». Al di là della più che ovvia assonanza con il cognome dell’attuale Presidente del Consiglio dei ministri, un’assonanza spesso richiamata anche nei roboanti titoli di Dagospia, sono soprattutto le peripezie di Gaz e Dave a risultare uno specchio ben molato delle vicende italiane. Come i due protagonisti, infatti, anche l’Italia – uno Stato (ma, conta ricordarlo, non un Paese) squattrinato e anche mal organizzato – è giunta al proprio ‘Full Monti’ dopo una lunga serie di espedienti e peripezie politiche. E lo spettacolo – almeno, così appare – sembra riscontrare se non un vero e proprio successo, almeno un grande apprezzamento sulla scena globale.
Un paradigma di ciò è il viaggio in Asia di Mario Monti. Un viaggio che possiamo leggere attraverso la lente del film di Cattaneo, proprio perché un tale viaggio – forse, ancora più della non troppo lontana missione in America – è in grado di mettere a nudo la vera essenza della nostra politica estera e l’effettivo ruolo che l’Italia potrà ritagliarsi sulla scena internazionale.
A margine del vertice sulla sicurezza nucleare di Seul, e poco prima dalla visita ufficiale in Giappone e in Cina, il nostro premier ha ottenuto importanti riconoscimenti da varie personalità internazionali. Barack Obama, manifestando vicinanza e apprezzamento per il lavoro di Monti, ha sottolineato il «ruolo molto importante» che l’Italia ricopre in Europa e nel mondo. Quasi a fare eco alle parole del Presidente degli Stati Uniti, sono giunte quelle di Hu Jintao. Il Presidente cinese non ha usato mezzi termini, promettendo che suggerirà ai suoi connazionali di «investire in Italia». Dopo aver incassato l’endorsement politico delle due più importanti potenze del sistema internazionale, Monti si è detto ovviamente soddisfatto. Al tempo stesso, egli ha giustamente cercato di non cadere vittima di un eccessivo autocompiacimento (una sindrome mortale in politica internazionale).
Il nostro premier, inoltre, è stato paragonato dal Wall Street Journal a Margareth Thatcher. La ragione di un tale giudizio? Il «coraggio politico» dimostrato con la riforma del mercato del lavoro. Una riforma che è ritenuta «utile ancorché moderata». Sulla riforma non è mancata neanche la ben più importante approvazione incassata da parte dell’Ocse. Insomma, le sorti magnifiche e progressive di ‘Full Monti’ sembrano segnate. «Se intende fare di questa riforma il primo e non l'ultimo passo di un’agenda più ambiziosa per rilanciare la crescita italiana», ha chiosato ancora l’autorevole quotidiano economico, «questo suo unico mandato potrebbe diventare grandioso». Ma, davvero, il nostro ‘Full Monti’ è stato (e sarà) in grado di mettere a nudo le nostre migliori qualità sulla scena internazionale?
Certamente, non si può che essere soddisfatti del rinnovato credito che il nostro Paese sembra aver acquisito nel sistema globale. Tuttavia, la sostanza vale tanto e forse più della forma. Pertanto, occorre non farsi troppe illusioni. E, soprattutto, non bisogna scambiare in maniera miope l’attestazione di stima e le promesse dei più importanti attori geopolitici mondiali con il nostro effettivo peso internazionale. Nella vicenda dei marò, per esempio, non pochi sono stati gli errori di analisi e di prassi dell’Italia. Grazie al cielo, dopo un iniziale sbandamento, la vicenda è ora attentamente seguita da vicino dal capace ed esperto sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura. Ciò non toglie, però, che molti dei ritardi accumulati per cercare di trovare una soluzione all’intricato caso potevano essere evitati.
Ancora più decisivo sarà poi vedere come il nostro Paese si muoverà nell’ambito dei tanti e spinosi dossier sul tavolo: dalle missioni internazionali alla sicurezza energetica, dal contare di più in Europa al rapporto con i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, dalla capacità di attrarre effettivi (e non solo promessi) investimenti internazionali alla questione ambientale transnazionale.
È nella prassi della nostra politica estera, piuttosto che nelle sue intenzioni o negli attestati di stima ricevuti, che sta iscritta la possibilità reale di contare davvero di più nel mondo. Proprio come nell’originale The Full Monty, sarà pertanto decisiva la volontà di dar vita a un vero spettacolo in grado di mettere a nudo la nostra reale capacità di proiezione internazionale. Sarebbe, però, altrettanto fondamentale che nel far ciò non si finisca per rimanere pericolosamente in mutande.




Articolo pubblicato su www.ilsussidiario.net il 28 marzo 2012 



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