Questa recensione è già apparsa su Europa l'8 ottobre 2014.
«La
parola "fortuna" descrive l'esperienza più antica e fondamentale
nella politica».
Così, in maniera semplice e al tempo stesso perentoria, lo sfuggente ed
enigmatico Martin Wight apre un suo breve scritto risalente alla fine degli
anni Cinquanta del secolo scorso. Rimasto per quasi sei decadi chiuso
nell'archivio della London School of Economics and Political Science, Fortunae ironia in politica (Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 67, 12€) è
riemerso dall'oblio grazie al paziente e scrupoloso lavoro di Michele
Chiaruzzi, che ne ha ricomposto e riunito il dattiloscritto originale e il
manoscritto correttivo. Il testo, un inedito italiano e mondiale, impreziosisce
ora per la sua raffinata erudizione la collana "Biblioteca di
Politica" diretta da Alessandro Campi.
L'intento di Wight, il più ammirato tra gli studiosi
britannici di Relazioni Internazionali nel Novecento, è quello di dissipare le
ombre che aleggiano sulla comprensione del rapporto tra idea e azione in
politica. Per tale motivo, le pagine del volume rappresentano una severa
critica al determinismo politico. Nella consapevolezza che «persone
ed eventi sono recalcitranti alla guida risoluta», che «il
risultato dell'azione politica mai coincide con l'intenzione», e
che «mai
si può avere il controllo di tutto il materiale rilevante», l'autore inglese
accompagna il lettore lungo un affascinante viaggio tra pensatori che hanno
riflettuto sulla 'incoerenza' della politica e uomini politici che hanno
sperimentato nella prassi contraddizioni e aporie dei processi politici. Da
Aristotele a Dante, da Polibio a Bolingbroke, passando per statisti,
ambasciatori e diplomatici, viene ripercorso - in un serrato e carsico dialogo
con Niccolò Machiavelli - il tortuoso cammino della storia per evidenziare
l'incidenza delle categorie della tragedia e dell'ironia nell'esperienza
politica.
Wight, infatti, è consapevole che la realtà politica non
può essere forzosamente piegata a ciò che è (soltanto) razionale, perché
infinitamente lo supera. È nella peripezia, ossia nel capovolgimento della
situazione, che la fortuna esercita la sua azione sul corso degli avvenimenti
storici, ribaltando il destino di uomini e nazioni, perché (come tiene a
sottolineare l'autore) è soprattutto l'esperienza della politica internazionale
a costituire il palcoscenico prediletto in cui poter osservare le beffe della
fortuna.
L'agile
volumetto dell'autore britannico mette in luce - come sottolinea Chiaruzzi - «la sfida della politica», che, «inconciliabile in molte asperità», domina sia «il tentativo della comprensione», sia «l'incognito della pratica». In un momento di crisi e di incertezza, la
lettura di Fortuna e ironia in politica potrebbe allora rappresentare
per la classe politica non solo un adeguato richiamo alla consapevolezza delle
contingenze, ma anche un utile sprone all'azione. Soprattutto, perché - come
sottolineava il segretario fiorentino nel XXV capitolo de Il Principe - «la fortuna è donna; ed è necessario, volendola
tenere sotto, batterla e urtarla. E si vede che la si lascia più vincere da
questi che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de’ giovani,
perché sono meno respettivi, più feroci, e con più audacia la comandano».
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