Questa recensione è già apparsa il 24 giugno su Europa.
«Il
sistema dei partiti non è solamente, anche se lo è in parte, un insieme di
buffoni. È più che altro un insieme di ipocriti, e si basa sulla menzogna. I
suoi strumenti principali sono l’avidità e la paura». E, ancora, «la stampa è
senza dubbio assai devota al sistema dei partiti: lo è più di qualsiasi altro
ente statale, eccezion fatta per i politici di professione». Anche se
potrebbero sembrare parti di un’invettiva tratta da qualche comizio di Beppe
Grillo o da qualche post del comico genovese sul proprio blog, queste parole
sono in realtà uno stralcio di un appassionato saggio scritto a quattro mani da
due polemisti inglesi all’inizio del Novecento. Di fronte all’apatia dell’opinione
pubblica rispetto alle vischiose dinamiche della politica parlamentare all’interno
della Camera dei Comuni, Hilaire Belloc e Cecil Edward Chesterton (fratello
minore del ben più famoso Gilbert Keith) decisero di dare alle stampe il
vibrante pamphlet The Party System
nel 1911. Rimasto per più di un secolo pressoché sconosciuto nel nostro Paese,
il volume – che sarà nelle librerie a partire dal 25 giugno – è ora
opportunamente proposto da Rubbettino con il titolo Partitocrazia.
Evocativo e accattivante, il termine partitocrazia,
coniato nel dopoguerra da Giuseppe Maranini per fotografare il già alterato
stato di salute della nostra politica, è estremamente adatto a descrivere il
contenuto del volume pubblicato dall’editore calabrese. Soprattutto perché, nel
leggere le pagine dell’opera di Belloc e Chesterton, il lettore potrà trovare
incredibili assonanze con la realtà che lo circonda. Tuttavia, occorre subito
sgombrare il campo da un possibile e poco auspicabile equivoco di fondo: tempo,
contingenze e attori sono profondamente differenti da quelli attuali. Occorre,
infatti, contestualizzare la denuncia dei due giornalisti inglesi. Questa
inchiesta sul sistema dei partiti nell’ultima fase dell’età vittoriana si
inserisce in un contesto contrassegnato da una scarsa mobilitazione elettorale
e da bassa partecipazione politica. Niente a che vedere, pur a fronte dell’astensionismo,
con ciò che possiamo leggere sui quotidiani ogni giorno. Allora, perché è utile
soffermarsi sulle pagine di questo saggio?
La risposta è alquanto semplice. In maniera lucida
e precisa, Belloc e Chesterton nel descrivere i problemi della politica a loro
coeva sembrano coglierne alcune regolarità o, per meglio dire, alcune patologie.
Patologie che possono debilitare anche la politica odierna. L’autoreferenzialità
dei regolamenti parlamentari, il richiamo al voto utile, il proliferare di
fondi segreti, la diffusione della corruzione sono tutte criticità che sono in
grado di riapparire non solo in tempi, ma anche a latitudini differenti. Molto
spesso, però, si ritiene che siano soltanto ‘malanni’ italiani, a cui altri
sistemi politici – del passato, del presente o del futuro – siano immuni. Non è
così. Entrambi gli autori mettono in guardia dalla tendenza dei partiti a
trasformarsi in «corporazioni oligarchiche chiuse», che perpetuano la loro
esistenza attraverso una cattiva «cooptazione» di membri al loro interno e che
agiscono esclusivamente per accaparrarsi «i vantaggi che vengono dall’essere il
gruppo di governo», finendo in tal modo per perpetrare quelle «finzioni» in
grado di garantire la loro esistenza parassitaria.
Partitocrazia non si ferma
però alla pars destruens, ma con
disincantata speranza guarda anche alla pars
costruens. Belloc e Chesterton non soffiano però sul fuoco dell’antipolitica,
né propongono rimedi palingenetici, perché comprendono come sia la libertà
dell’uomo – tanto quella del rappresentante, quanto quella del rappresentato –
a essere sfidata continuamente dalla realtà. È qui che entra in gioco la figura
del «riformatore», il cui compito – o, per dirla in termini weberiani, la cui
vocazione – è quella di «concentrarsi sull’unica vera forza attiva che sostiene
il sistema partitico, l’avidità e gli intrighi di coloro che il sistema
beneficia», per scardinarla e ristabilire un’effettiva dinamica
democratico-rappresentativa. In altri termini, per cambiare verso alla
politica.
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