Nel 1934, riflettendo sulle conseguenze della grande crisi, che sembrava aver travolto non solo il capitalismo americano ma anche la cultura e la civiltà del suo Paese, Reinhold Niebuhr osservò in maniera assai ruvida: «stiamo assistendo al tragico spettacolo di una civiltà che sta lentamente distruggendo se stessa».
Nel corso del secolo scorso, l'Europa non ha perso tempo per portare a compimento l'atroce previsione che il teologo protestante aveva espresso per gli Stati Uniti. Ma, dopo due conflitti mondiali e il definitivo tramonto del sistema internazionale eurocentrico che fino a quel momento aveva ordinato l'ordine globale, il Vecchio continente sembrava aver trovato le forze necessarie per traguardare il futuro. Nelle intenzioni dei De Gasperi, Schuman e Adenauer, l'Europa poteva (e doveva) ritrovare se stessa attraverso la condivisione di un ideale alto. Lo sviluppo del progetto unitario - come possiamo ormai vedere quotidianamente - ha però scoperto il fianco a molte insidie e ambiguità.
La rigida austerità tedesca, se non scardinata da adeguate misure per la crescita economica, realizzerà il triste presagio di Niebuhr?
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