«Fra i due litiganti il terzo gode» non
è solamente un celebre dramma di Giuseppe Sarti, messo in scena per la prima
volta alla Scala di Milano nel 1782. Infatti, è molto di più. Il titolo
dell’opera teatrale è anche il paradigma più adeguato per spiegare la
situazione in Medio Oriente.
In gioco
non c’è la mano della cameriera Dorina, contesa tra Mingone e Titta, ma l’attuale
tensione tra Israele e Iran. Come alla fine del dramma tratto da Le nozze di Goldoni a prevalere sarà
Masotto, così al termine della contrapposizione sul programma nucleare degli
Ayatollah a godere potrebbe essere soltanto l’Arabia Saudita.
Pur a
fronte del continuo inasprimento delle sanzioni internazionali, l’ultimo giro
di vite è quello annunciato da Obama pochi giorni fa, il governo di Teheran non
sembra per ora intenzionato a mollare la presa. Anzi, cercherà ancora una volta
di alzare il livello della tensione per provocare un aumento dei prezzi del
petrolio. E spaventare la comunità internazionale.
Al tempo
stesso, da Gerusalemme non sembrano giungere notizie rassicuranti. All’inizio
della scorsa settimana, l’autorevole «Foreign Policy» ha rilanciato rumors su un accordo dello Stato ebraico
con l’Azerbaigian per l’utilizzo di basi aeree nel Paese caucasico. Prontamente
smentite dalle autorità azere, le informazioni della rivista americana non
sembrano però così campate in aria. La presunta disponibilità di Aliyev a
offrire un appoggio logistico a Israele è certamente un importante tassello
strategico in vista di uno strike
contro i siti nucleari sospetti.
Ma, che
cosa c’entra allora l’Arabia Saudita in tutto questo? La dinastia Āl Saʿūd è
da sempre un acerrimo nemico dell’Iran, un rivale (a volte) collaborativo di
Israele, e il più importante alleato arabo e islamico degli Stati Uniti in
Medio Oriente. La sua politica estera è fondata su due principi, almeno in
apparenza, inconciliabili. Da un lato, viene foraggiato e diffuso il wahabismo
(una tradizione d’interpretazione coranica conservatrice e radicale che vuole riportare l’Islam all’originaria
purezza). Dall’altro, viene storicamente concesso un fondamentale
appoggio logistico-militare per lo USCENTCOM. Questa spregiudicata e cinica Realpolitik, però, sembra dar ragione
all’Arabia Saudita.
La
monarchia di Riyāḍ aspetta
alla finestra gli sviluppi di una crisi che, se dovesse giungere fino alla
guerra, potrebbe portare a un nuovo indebolimento dell’Iran, a un ulteriore
isolamento di Israele e a una non quantificabile escalation di violenza in tutto il Medio Oriente. Una prospettiva
che sembra destinata a favorire la definitiva affermazione del governo saudita
come principale potenza regionale.
Nel
palazzo di Re ‘Abd Allāh, non dovrebbe essere
difficile sentir risuonare in questi mesi le note di “Come un agnello”, ossia
quell’aria dell’opera di Sarti che anche Mozart volle citare nel banchetto
finale del suo Don Giovanni. D’altronde,
sembra proprio che ancora una volta fra i due litiganti sarà il terzo a godere.
Questo articolo è stato pubblicato su CQ140 il 2 aprile 2012
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