Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

sabato 7 aprile 2012

Fra i due litiganti l'Arabia Saudita (forse) gode






«Fra i due litiganti il terzo gode» non è solamente un celebre dramma di Giuseppe Sarti, messo in scena per la prima volta alla Scala di Milano nel 1782. Infatti, è molto di più. Il titolo dell’opera teatrale è anche il paradigma più adeguato per spiegare la situazione in Medio Oriente.
In gioco non c’è la mano della cameriera Dorina, contesa tra Mingone e Titta, ma l’attuale tensione tra Israele e Iran. Come alla fine del dramma tratto da Le nozze di Goldoni a prevalere sarà Masotto, così al termine della contrapposizione sul programma nucleare degli Ayatollah a godere potrebbe essere soltanto l’Arabia Saudita.
Pur a fronte del continuo inasprimento delle sanzioni internazionali, l’ultimo giro di vite è quello annunciato da Obama pochi giorni fa, il governo di Teheran non sembra per ora intenzionato a mollare la presa. Anzi, cercherà ancora una volta di alzare il livello della tensione per provocare un aumento dei prezzi del petrolio. E spaventare la comunità internazionale.
Al tempo stesso, da Gerusalemme non sembrano giungere notizie rassicuranti. All’inizio della scorsa settimana, l’autorevole «Foreign Policy» ha rilanciato rumors su un accordo dello Stato ebraico con l’Azerbaigian per l’utilizzo di basi aeree nel Paese caucasico. Prontamente smentite dalle autorità azere, le informazioni della rivista americana non sembrano però così campate in aria. La presunta disponibilità di Aliyev a offrire un appoggio logistico a Israele è certamente un importante tassello strategico in vista di uno strike contro i siti nucleari sospetti.
Ma, che cosa c’entra allora l’Arabia Saudita in tutto questo? La dinastia Āl Saʿūd è da sempre un acerrimo nemico dell’Iran, un rivale (a volte) collaborativo di Israele, e il più importante alleato arabo e islamico degli Stati Uniti in Medio Oriente. La sua politica estera è fondata su due principi, almeno in apparenza, inconciliabili. Da un lato, viene foraggiato e diffuso il wahabismo (una tradizione d’interpretazione coranica conservatrice e radicale che vuole riportare l’Islam all’originaria purezza). Dall’altro, viene storicamente concesso un fondamentale appoggio logistico-militare per lo USCENTCOM. Questa spregiudicata e cinica Realpolitik, però, sembra dar ragione all’Arabia Saudita.
La monarchia di Riyāḍ aspetta alla finestra gli sviluppi di una crisi che, se dovesse giungere fino alla guerra, potrebbe portare a un nuovo indebolimento dell’Iran, a un ulteriore isolamento di Israele e a una non quantificabile escalation di violenza in tutto il Medio Oriente. Una prospettiva che sembra destinata a favorire la definitiva affermazione del governo saudita come principale potenza regionale.
Nel palazzo di Re ‘Abd Allāh, non dovrebbe essere difficile sentir risuonare in questi mesi le note di “Come un agnello”, ossia quell’aria dell’opera di Sarti che anche Mozart volle citare nel banchetto finale del suo Don Giovanni. D’altronde, sembra proprio che ancora una volta fra i due litiganti sarà il terzo a godere.

Questo articolo è stato pubblicato su CQ140 il 2 aprile 2012





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