Nel 1987, Fiorella Mannoia vinse il
Premio della Critica a Sanremo con Quello
che le donne non dicono. Scritta da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone, la
canzone riscosse un certo successo, rimanendo per molte settimane nella
classifica musicale degli singoli. Sul palco dell’Ariston, la cantautrice
romana ricordava che se le donne dicono «una bugia è
una mancata verità che prima o poi succederà»,
proprio perché se si trasformano un po’ «è per la voglia di piacere a chi c’è
già o potrà arrivare a stare con noi». Apparsa per la prima volta nell’album Canzoni per parlare, la bella canzone
della Mannoia è paradossalmente attuale oggi alla vigilia dell’elezione del
nuovo Presidente della Repubblica in questa pericolosa fase politica che sta
attraversando il nostro Paese.
In una lettera a Repubblica,
entrando ancora di più nella mischia per il Quirinale, Matteo Renzi una qualche
«mancata verità» per «la voglia di piacere a chi già c’è o potrà arrivare» ad ‘allearsi’
con lui non esita a scriverla. Nel far ciò, non solo evidenzia le tensioni
(quando non vere e proprie divisioni) del Pd, ma si sofferma sul rapporto tra
fede e politica. Al centro della missiva a Ezio Mauro (nella quale si scaglia legittimamente
contro la candidatura di Marini, ma tace il suo appoggio a Prodi), Renzi costruisce
abilmente una retorica – ma non molto convincente – difesa della laicità dello
Stato. Un tentativo un po’ maldestro, anche se (a prima vista) abbastanza efficace,
di fare eco alla lettera che don Julián Carrón ha scritto il 10 aprile scorso sempre
a Repubblica. Accanto a un’analisi di
ciò a cui il sindaco di Firenze accenna, è allora interessante capire proprio quello
che il ‘rottamatore’ non dice.
Ha
ragione Renzi quando afferma di dubitare «di chi riduce il cristianesimo a
insieme di precetti, norme etiche alle quali cercare di obbedire e che il buon
cristiano dovrebbe difendere dalle insidie della contemporaneità», oppure di ritenere
molto più infimo chi «utilizza la propria fede per chiedere posti. Per
pretendere posti. Per reclamare posti non in virtù delle proprie idee, ma della
propria fede». Anche se, questo atteggiamento «perdente» non è poi così
frequente – come, invece, ritiene Renzi – nel mondo politico cattolico. Il
cristianesimo non è la ricerca di un’egemonia politica, ma la testimonianza di
una presenza. Ed è proprio a questo livello che l’astuto ragionamento del
rottamatore inizia a incrinarsi.
Definendo un po’
furbescamente «gravissimo e strumentale» il fatto di poggiare una candidatura
sulla fede religiosa, Renzi afferma con «orgoglio» il suo essere cattolico. Tuttavia,
il tentativo «di vivere la fedeltà al messaggio e ai valori di Cristo […] davanti
alla coscienza» somiglia vagamente e pericolosamente alla fiera rivendicazione
di autonomia in cui avventurò qualche anno fa il “cattolico adulto” Prodi. La
fede è qualcosa di personale e privato (tanto che il sindaco di Firenze è
costretto a fare «outing»), ma non può in alcun modo incidere sulla vita
sociale, politica ed economica. Una rivendicazione che già Benedetto XVI, durante
i vespri in occasione della chiusura dell’anno paolino, sgretolò con fermezza.
«La parola “fede adulta”», osservava Papa Ratzinger nel
giugno del 2009, «negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Ma lo
s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla
Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non
credere – una fede “fai da te”, quindi. E lo si presenta come “coraggio” di
esprimersi contro il Magistero della Chiesa». «In realtà, tuttavia, non ci
vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico
applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche
se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo
non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”. È la fede che
egli vuole. Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle
correnti del tempo». La “fede adulta” autentica, infatti, «si oppone ai venti
della moda», proprio perché «non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi
corrente». Così, ribadiva con forza Benedetto XVI «fa parte della fede adulta,
ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo
momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio
anche nella difesa delle creature umane più inermi. Fa parte della fede adulta
riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento
del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo». Piuttosto che offrire lezioni
sul rapporto tra fede e politica, cercando al tempo stesso di nascondere
l’opportunismo politico di demolire una candidatura al Quirinale, sarebbe utile
capire che cosa pensa il Sindaco di Firenze a proposito dei principi non
negoziabili. Se di fronte alla vita, all’educazione e alla famiglia ritiene che
la fede sia qualcosa di privato, oppure un fattore decisivo per portare un
contributo al bene comune. Se la fede possa diventare intelligenza della
realtà, oppure sia preferibile un comodo dualismo da “cattolico adulto”, la cui
fede non si oppone ai venti della moda e si lascia trasportare qua e là da
qualsiasi corrente.
* Questa lettera è già stata pubblicata su www.ilsussidiario.net il 15 aprile 2013