Nel
1941, durante uno dei momenti più cupi della storia inglese ed europea, Winston
Churchill ebbe a sostenere che, una volta entrato consapevolmente in guerra, lo
statista «non è più padrone della politica, ma schiavo di eventi imprevedibili
e incontrollabili». Purtuttavia, il saggio e realistico riconoscimento di non
disporre del proprio destino non spinse l’allora Primo Ministro britannico a
tirare i remi in barca. Egli, infatti, non solo fu uno degli artefici della
vittoria nella Seconda guerra mondiale, ma seppe anche e soprattutto ‘immaginare’
(insieme a Roosvelt e Stalin) il futuro del sistema internazionale. Anche se
non fu ironicamente in grado di ‘prevedere’ la propria sconfitta a vantaggio
del laburista Attlee nelle elezioni politiche del 1945, Churchill rimane uno
degli uomini politici maggiormente dotati di lungimiranza.
La lungimiranza – ossia la capacità
di guardare lontano nel tempo – è sempre stata una delle attitudini più
importanti per qualsiasi politico. Possedere o non possedere un tale dono,
infatti, ha spesso fatto la differenza nella carriera di chi è stato (ed è
tuttora) chiamato a servire il popolo. Al tempo stesso, la lungimiranza è (e
deve continuare a essere) un attributo proprio anche della classe degli
aiutanti del potere politico: vale a dire, di quella più o meno nutrita schiera
di studiosi che, scrutando la realtà presente, cercano di prospettare quella
futura al fine di aiutare la politica ad orientare i fenomeni al miglior esito
possibile.
«Vedere» i fenomeni politici – ha
osservato Sheldon S. Wolin nella sua celebre opera Politics and Vision – non significa soltanto descrivere un evento o
un oggetto. La «visione», infatti, richiede sempre anche un’essenziale
componente di «immaginazione». E l’immaginazione necessariamente contiene in sé
la convinta speranza nel domani, insieme con la proiezione di quale potrà
essere nel futuro l’ordine di una comunità o di un sistema globale.
Un tentativo, tanto difficile quanto
affascinante, in questa direzione ci è ora offerto dal volume curato da
Gianluca Ansalone e Angelo Zappalà (11
settembre 2021. Le minacce del prossimo decennio, FrancoAngeli, Milano
2012). Con una buona varietà di registri stilistici, un più che adeguato
ricorso ai dati e un costante riferimento alla letteratura scientifica, questo
agile libro cerca – come osserva giustamente Edward Luttwak nella sua Prefazione – di «immaginare il futuro in
modo fresco ed originale». Non si tratta, conta sottolinearlo fin da subito, di
uno di quegli esercizi di stile in cui qualche futurologo cerca di predire gli
avvenimenti. Un tentativo, di per sé, che non può che risultare inutile.
Piuttosto, il volume è un tentativo – per usare le parole di Ansalone – di
«recuperare il senso della visione e della profondità strategica». Un tentativo
aggiungiamo ben riuscito.
L’inizio del XXI secolo è stato segnato
da grandi cambiamenti e dal sorgere di numerose minacce. Assai spesso, gli uni
e le altre si sono caratterizzati per il fatto di non provenire da – o di non
essere completamente esauribili in – attori statuali. Sono pericoli asimmetrici
o transnazionali, che spingono a rivedere alcuni degli assunti più consolidati
dei paradigmi delle Relazioni Internazionali. In 11 settembre 2021, esperti, analisti e accademici ci aiutano a
considerarli e a giudicarli. Lo spettro degli scenari è ampio e ricco: dai
conflitti all’ambiente, dalle nuove tecnologie ai luoghi. Viene così immaginato
non solo il ‘futuro’ delle guerre (Vincenzo Camporini), del jihad (Ansalone e
Zappalà), delle tecnologie militari (Andrea Nativi), del crimine organizzato
(Alessandro Politi) e del terrorismo (Francesco Marelli), ma anche quello
dell’energia (Stefano Casertano) e del clima (Salvatore Santangelo). Inoltre, sono
analizzate anche le nuove e vecchie dimensioni della realtà. Il ‘futuro’ dei
media e quello della rete vengono rispettivamente tratteggiati da Jacopo
Barigazzi e da Raoul Chiesa, mentre il ‘futuro’ delle città e quello dello
spazio sono localizzati da Fabrizio Battistelli e da Alessandro Ricci.
Questo interessante volume, intrecciando
gli studi internazionalistici con quelli strategici e geopolitici, vuole
proiettare «su un orizzonte lungo progetti e dinamiche di cui oggi percepiamo
solo un contorno sfumato», al fine di «attrezzarsi per prevenirne gli effetti
più nefasti». Il testo curato da Ansalone e Zappalà vuole aprire delle
«finestre» sul mondo che verrà. La realtà non è soltanto spezzettata e letta in
profondità, ma anche ricomposta in forma di sintesi. In questo tentativo, pertanto,
sia i politici sia la gente comune sono aiutati tanto nell’analisi, quanto nel
giudizio. Non c’è catastrofismo nelle pagine del saggio, bensì speranza.
Speranza anche di essere ironicamente smentiti.
Se, come ha osservato il grande giurista
tedesco Rudolf von Jhering, «la politica vera è la visione dell’interesse
lontano», allora 11 settembre 2012 è
un utile e interessante strumento per vedere e immaginare il futuro della
politica interna e internazionale.
Questa recensione al libro 11 settembre 2021. Le minacce del prossimo decennio, curato da Gianluca Ansalone e Angelo Zappalà è stata pubblicata sabato 21 aprile 2012 su www.ilsussidiario.net