Despair is the fate of the realists who know something about sin, but nothing about redemption.
Self-righteousness and irresponsibility is the fate of the idealists who know something about the good possibilities of life, but know nothing of our sinful corruption of it

(Reinhold Niebuhr)

lunedì 24 febbraio 2014

Che cosa dicono del "realista delle distanze"?




Questa recensione di Giovanni Dessì a Il realista delle distanze è stata pubblicata il 15 febbraio 2014 su Il Sussidiario.


Reinhold Niebuhr è stato un pensatore cristiano che ha profondamente segnato parte della cultura americana del Novecento. Lo storico Arthur Maier Schlesinger Jr. ha scritto che nessuna altra figura ha avuto la stessa influenza sulla generazione che si era formata negli anni Trenta; George Kennan, il diplomatico che elaborò tra la fine della guerra e il 1947 la politica del contenimento nei confronti della Russia sovietica, disse di Niebuhr che egli era il padre di coloro che si riconoscevano nel realismo politico.
Niebuhr non è nella cultura italiana molto noto: il recente libro di Luca Castellin (Il realista delle distanze. Reinhold Niebuhr e la politica internazionale, Rubbettino, 2014) ha il merito di richiamare l'attenzione sulla sua figura e sull'attualità di alcune delle sue posizioni.
Uno dei temi centrali di Niebuhr è stato quello del realismo: Castellin si confronta con tale questione, complessa e difficilmente schematizzabile, tentando di offrirne una caratterizzazione e di evidenziarne le prospettive nell'ambito della politica internazionale.
Il realismo di Niebuhr viene descritto, riprendendo un'espressione di Flannery O'Connor, come un "realismo delle distanze". 
Per la scrittrice americana la realtà è l'ineliminabile riferimento di ogni romanzo: essa può però essere intesa come regno della necessità, chiusura delle possibilità, della libertà, o come, al contrario, apertura misteriosa, mai interamente esaurita di nuove possibilità. L'affermazione del mistero, dell'insondabile ricchezza della realtà, permette di scorgere anche negli aspetti più duri e a volte dolorosi del reale la possibilità; consente di vedere le cose come da una distanza che è condizione per meglio comprenderle nella loro interezza e nelle loro possibilità.
Niebuhr, che è stato considerato da molti un pensatore profetico, ha continuamente messo in campo questo realismo della distanza, superando le facili e convenzionali apparenze e rimandando ad una comprensione più ricca del reale. 
Egli, nei  primi anni Trenta, quando il mito del progresso indefinito e della perfettibilità umana dominava ancora la cultura liberal americana, ha espresso una forte critica a queste concezioni, che riteneva sentimentali, ottimistiche e incapaci di rendere ragione della drammaticità dell'esistenza umana e della presenza del male nella storia.


D'altra parte questa sua denuncia non lo ha mai condotto all'approvazione incondizionata e cinica dello status quo: proprio in nome della riaffermazione delle infinite possibilità di compimento della libertà umana egli si è impegnato intellettualmente e partecipando a diverse associazioni nel tentativo di contribuire ad una maggiore realizzazione della libertà umana nella società americana. Il libro offre una ricostruzione dello svolgimento di tale posizione, dalle prime opere sino agli scritti di politica internazionale: la parte della produzione di Niebuhr alla quale viene dedicata più attenzione è quella tra la fine della seconda guerra mondiale e gli anni della prima guerra fredda. 
Gli americani subito dopo la conclusione della guerra si trovarono nella necessità di confrontarsi  con  un alleato – la Russia comunista − che non era più tale ed una situazione internazionale nella quale il peso degli Stati Uniti sarebbe stato decisivo. In questo contesto Niebuhr elaborò una duplice strategia: da una parte egli denunciò in modo inequivocabile il carattere totalitario del comunismo, criticando coloro che speravano con un atteggiamento conciliante di cambiare la natura del potere sovietico ; dall'altra richiamò agli americani il rischio che avrebbe comportato il dare un carattere assoluto e sacrale alla loro posizione, alla democrazia. 
Questa posizione fu condivisa, nelle sue prospettive generali, dai principali sostenitori del realismo politico americano, in modo particolare da Hans Morgenthau e George Kennan.
Castellin dedica grande attenzione all'analisi degli interventi di Niebuhr in merito alla politica internazionale, che sebbene non offrano una concezione compiuta delle relazioni internazionali dimostrano la sua non comune capacità di confrontarsi lucidamente con i nodi della politica internazionale del proprio tempo.
Muovendo dalla propria concezione dell'uomo e della società, da quella che Niebuhr stesso definì come realismo cristiano, egli fu in grado di porre  domande che aprivano alla considerazione della realtà politica nella sua complessità e nella sua ricchezza. Proprio questa capacità di vedere le questioni essenziali che emergevano dalla politica internazionale, di porre le domande giuste alla realtà, resta l'eredità più significativa di Niebuhr.

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